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EDITORIALE

Troppe chiacchiere d’agosto sul difficile tema dell’evasione fiscale

/ Enrico ZANETTI

Martedì, 24 agosto 2010

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Agosto è notoriamente un mese avaro di notizie e la stampa si arrangia come può a riempire le pagine interne dei quotidiani, scegliendo qualche filone tematico di facile presa sull’opinione pubblica. Quest’anno, pare evidente, è toccato all’evasione fiscale e, tra i numerosi interventi, articoli e commenti, ne spiccano alcuni.

La scorsa settimana, vari quotidiani nazionali, tra cui anche Il Sole 24 Ore, facevano eco alle parole del direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, secondo il quale la lotta all’evasione richiede un cambio dell’humus culturale e una maggiore partecipazione emotiva dei cittadini.
Qualche giorno dopo, il Corriere della Sera titolava così un’intervista a Raffaele Bonanni: “Severi con chi non paga, in galera con i commercialisti”. E appena sotto il roboante titolo, il leader della CISL dichiarava: “Per combattere l’evasione occorrono provvedimenti draconiani, come le manette per chi non paga le tasse o l’espulsione dall’Albo dei commercialisti compiacenti che costruiscono scatole cinesi”.

Che Bonanni sia un ottimo sindacalista e non un ottimo fiscalista, si vede.
Già oggi chi non paga le tasse per importi apprezzabili commette un reato penalmente rilevante ai sensi del DLgs. 74/2000. Se il meccanismo che ha prodotto l’evasione penalmente rilevante è stato concepito e attuato da un consulente, quest’ultimo è, già oggi, perseguibile insieme al cliente per conto del quale ha operato. Qualora il consulente di cui sia stata riconosciuta la colpa sia un commercialista iscritto all’Albo, è fuor di dubbio che le opportune misure vengono adottate anche sul fronte disciplinare.
Nel caso di specie, tuttavia, l’efficacia della cancellazione è più platonica che sostanziale, posto che, per un’inopinata deriva giurisprudenziale, per svolgere attività di consulenza e assistenza fiscale non è necessario essere iscritti ad un Albo riconosciuto e si può quindi continuare a fare quello che si faceva prima, sotto la diversa denominazione di consulente fiscale o simili.

Non è inconcepibile che un’attività delicata come quella della consulenza fiscale possa essere svolta da chiunque, anziché soltanto da soggetti riconosciuti e monitorati dallo Stato come gli iscritti all’Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nonostante sia del tutto evidente che questo tipo di attività è sempre suscettibile di interessare, oltre che la sfera patrimoniale del cliente, anche quella della collettività?
I motivi per cui troppo raramente si assiste ad un evasore in galera sono gli stessi per cui molte volte non si vedono finire in galera pubblici dipendenti o politici che si macchiano di reati contro il patrimonio o contro la pubblica amministrazione: eternità dei processi, prescrizioni, indulti, condoni, eccetera.

Nel nostro Paese c’è un oggettivo problema di percezione della legalità e di rispetto delle regole. Stupirsi che questo problema nel rapporto tra Stato e cittadini si traduca anche sul piano tributario è, questo sì, davvero stupefacente.
Anche il direttore Befera, quando invoca un nuovo modello culturale, nel nome di un implicito riconoscimento del valore etico intrinseco al corretto adempimento dell’obbligazione tributaria, offre una lezione che, per essere accettata, necessiterebbe di comportamenti coerenti a trecentosessanta gradi.

Per intenderci: se chi dirige l’Agenzia è solo un tecnico che applica le leggi, dovrebbe allora limitarsi a svolgere il suo compito, astenendosi dal dare giudizi sulla valenza etica del rapporto tra contribuente e Fisco; se invece, poiché ci crede, ritiene suo dovere richiamare l’attenzione anche su aspetti più morali che tecnici, ecco allora che, quando periodicamente arrivano condoni e scudi fiscali, dovrebbe riconoscerli per quello che sono (sfregi alla legalità) e non astenersi invece da giudizi, trincerandosi dietro al suo ruolo di mero applicatore tecnico di decisioni politiche.

Dopodiché, è chiaro che non si può che essere d’accordo sul fatto che serva un nuovo modello culturale. Non si può però pensare che questo nuovo modello culturale possa riguardare il sentimento di rispetto per le sole regole fiscali, disgiunto dal sentimento di rispetto delle regole in generale.

Lo spettacolo che offre sempre più l’establishment del Paese, sia ai massimi livelli che nell’immediato sottobosco, è quello di una crescente e quasi ossessiva attenzione per il rispetto della legalità fiscale e la caccia all’evasore, ma di una notevole rilassatezza e garantismo sui molti altri fronti della legalità che concernono il rapporto tra cittadino e Stato.
Un simile approccio è oggettivamente negativo, perché trasmette al cittadino l’impressione che chi fa parte di quell’establishment non sia, in realtà, mosso dal nobile sentimento della necessità dell’osservanza delle regole, ma dal gretto sentimento della necessità dell’osservanza delle sole regole fiscali: perché il resto può attendere, ma i soldi per mandare avanti la giostra servono tutti, e subito, a chi ha la fortuna di guidarla e di gestirla.
Speriamo che, passato agosto, si torni ad affrontare questo importantissimo tema con maggiore misura ed efficacia.

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