Per la Cassazione la consulenza fiscale è riservata ai commercialisti
Ricordate il film con Paolo Villaggio dal titolo “Sogni mostruosamente proibiti”?
Ebbene, per un iscritto all’Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, una sentenza quale la n. 10100 dell’11 marzo 2011, emanata dalla sesta sezione della Corte di Cassazione, presidente il dott. Giovanni de Roberto, è senza dubbio qualcosa che a quel titolo si avvicina molto.
Cosa dice questa sentenza?
“L’art. 348 cod. pen. punisce l’esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato. Per esercitare la professione di dottore / ragioniere commercialista la legge richiede il superamento dell’esame di Stato e l’iscrizione nell’apposito albo professionale, e pertanto, quella del commercialista è una professione protetta e le attività proprie di essa possono esplicarsi esclusivamente dal soggetto abilitato ed iscritto all’Albo.
Va precisato che, per stabilire se una determinata prestazione integri il reato previsto dall’art. 348 cod. pen., non è necessario rinvenire nella legge che regola la professione in tesi abusivamente esercitata una clausola di riserva esclusiva riguardante quella specifica professione, ma è sufficiente l’accertamento che la prestazione erogata costituisce un atto tipico, caratteristico di una professione per il cui esercizio manca l’abilitazione.
Orbene il consulente del lavoro, avendo competenza in materia di redditi di lavoro dipendente, può legittimamente occuparsi della liquidazione e del pagamento delle relative imposte. Ma l’indagato prestava assistenza fiscale e contabile anche a lavoratori autonomi e imprese e, quindi, operava in un campo per il quale non aveva la necessaria abilitazione. Ne deriva che, allo stato, non può negarsi la sussistenza del fumus delicti”.
In sintesi: nemmeno un consulente del lavoro, figuriamoci un lavoratore autonomo non iscritto ad albi o società e associazioni, può svolgere attività di consulenza e assistenza fiscale e contabile ad imprese, perché si tratta di attività propria degli iscritti all’Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.
E adesso, dal punto di vista dei commercialisti italiani, che si fa?
Il presidente Giovanni de Roberto e gli altri quattro magistrati del collegio giudicante “santi subito”? Oppure Consiglieri nazionali dell’Ordine ad honorem, per meriti conquistati sul campo?
In verità, i commercialisti italiani hanno sempre accettato e rispettato norme che hanno gradito poco (ad esempio, nel 2005, l’estensione ai consulenti del lavoro del patrocinio in commissione tributaria) e sentenze che hanno detto l’esatto contrario di quella che oggi commentiamo, con una serenità ed un rispetto delle istituzioni e del Paese che altre professioni, al di là delle belle parole, hanno mostrato di non sapere nemmeno dove sta di casa.
Basti pensare, in tempi recenti, al contegno mostrato dai vertici dei notai sulla vicenda della cessione di quote di srl e quello mostrato dai vertici degli avvocati sulla mediazione.
Si sono quindi guadagnati il diritto di accettare e rispettare anche una sentenza in cui si offre una interpretazione del diritto che, una volta tanto, è oggettivamente utile più a loro che non al Paese.
I commercialisti italiani credono fermamente nel libero mercato, quando le prestazioni rese assumono la natura di mera consulenza privatistica; ma, di fronte a pronunce di questo tipo e a comportamenti di ben altro segno da parte di altri importanti pezzi della società civile, hanno anche il preciso dovere di non lasciar cadere nel vuoto spunti importanti di discussione e dibattito, non fosse altro che per usarli come merce di scambio verso la costruzione di equilibri più giusti per la collettività e non soltanto per loro: se voi rinunciate, noi rinunciamo; se voi non rinunciate, perché dovremmo farlo noi?
Tra l’altro, se è vero, come accennato, che sono diverse le pronunce di segno contrario, è altrettanto vero che questa sentenza è a sua volta ben lungi dall’essere unica e dal dover essere considerata irripetibile.
Sarebbe interessante se, in occasione di una delle prossime assisi nazionali dei commercialisti, venissero coinvolti anche i magistrati che hanno stilato la sentenza e fosse organizzato un dibattito di diritto e di merito sulla questione, con la partecipazione anche di altri loro colleghi e di rappresentanti delle istituzioni.
Così come potrebbe essere interessante che venisse predisposto qualche studio sulla materia, per fare il punto della situazione su un quadro applicativo del diritto che forse è meno scontato di quanto credano gli stessi diretti interessati.
Certo, è legittimo chiedersi chi mai potrebbe essere interessato ad ascoltare dibattiti o leggere scritti del genere.
Così su due piedi, mi verrebbe da rispondere: i commercialisti.
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