Recepire il principio del contraddittorio preventivo è una questione di civiltà
Caro Direttore,
ho letto con interesse l’argomentata e “sentita” lettera del collega Cramarossa (si veda “L’indagine finanziaria non dev’essere uno strumento di applicazione automatica”), piena di spunti di riflessione di enorme attualità in un momento – come il presente – di assoluto deterioramento nel rapporto Fisco/contribuente (ammesso e non concesso tale rapporto sia mai esistito).
Preliminarmente, vorrei complimentarmi con il collega per la pacatezza dei toni (lo ammetto: io non ci sarei mai riuscito), pur affrontando un argomento che a mio avviso è il termometro della civiltà di un Paese e del suo sistema fiscale nello specifico.
È un argomento che meriterebbe, da un lato, la massima attenzione da parte della Pubblica Amministrazione e, dall’altro, la più attenta disamina da parte dei giudici (di ogni grado) ogni qual volta, appunto, il “diritto al preventivo contraddittorio” venga calpestato.
Ma, ahinoi, siamo in Italia e le questioni di gettito erariale sono preminenti su tutto.
Ritengo, infatti, che solo questa possa essere la giustificazione per cui la predominante giurisprudenza (di merito e di legittimità) sia ancora restia a riconoscere come immanente nell’ordinamento tributario il sacrosanto principio del contraddittorio preventivo (o endoprocedimentale, effettuato prima della notifica dell’atto impositivo), così come ribadito dalla Corte di Giustizia UE (sentenza del 18 dicembre 2008, causa C-349/07, Sopropé): “la regola secondo cui il destinatario di una decisione ad esso lesiva deve essere messo in condizione di far valere le proprie osservazioni prima che la stessa sia adottata ha lo scopo di mettere l’autorità competente in grado di tener conto di tutti gli elementi del caso. Al fine di assicurare una tutela effettiva della persona o dell’impresa coinvolta, la suddetta regola ha in particolare l’obiettivo di consentire a queste ultime di correggere un errore o far valere elementi relativi alla loro situazione personale tali da far sì che la decisione sia adottata o non sia adottata, ovvero abbia un contenuto piuttosto che un altro” (punto 49).
“In tale contesto – prosegue la Corte – il rispetto dei diritti della difesa implica, perché possa ritenersi che il beneficiario di tali diritti sia stato messo in condizione di manifestare utilmente il proprio punto di vista, che l’amministrazione esamini, con tutta l’attenzione necessaria, le osservazioni della persona o dell’impresa coinvolta” (punto 50).
Ebbene, in Italia siamo ancora a discernere sul fatto che la sentenza Sopropè – vertendo in materia di tributi armonizzati (tariffa doganale nello specifico) – ha statuito un principio non applicabile ai tributi non armonizzati (redditi per esempio), come se questi ultimi possano “invece essere collocati in una sorta di limbo, in cui l’Amministrazione può liberamente decidere se aprire o meno il procedimento alla partecipazione del contribuente” (G.M. Cipolla).
Oppure, ancora, i giudici si alternano ad emettere sentenze che, attribuendo preminenza al dato letterale della legge, ritengono illegittimi i procedimenti sprovvisti di preventivo contraddittorio solo qualora la specifica legge prevede espressamente tale fase prodromica a pena di nullità (studi di settore, art. 37-bis del DPR 600/73, ecc.).
Ma mi chiedo: se sia la Pubblica Amministrazione che la Cassazione non hanno fatto notevoli sforzi (anzi) a recepire come immanente il principio dell’abuso del diritto e l’esistenza di una clausola generale antiabuso estesa all’intero campo dell’imposizione fiscale (Corte UE sentenza 21 febbraio 2006, causa C-255/02, cosiddetta sentenza Halifax), perché mai incontrano serie difficoltà “interpretative” (!) nel recepire immediatamente l’altro principio immanente sancito dalla medesima Corte? È utopia?
Un serio sforzo in tal senso (credo non troppo gravoso, anzi) ritengo sia il primo e doveroso passo per attribuire ai rapporti contribuente/Fisco/P.A. i connotati di correttezza e civiltà (anche al fine di tentare di rendere ancora “appetibile” l’Italia agli investitori stranieri).
Sandro La Ciacera
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano
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