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Il «conto» della legge di stabilità sale a 24 miliardi

/ REDAZIONE

Martedì, 7 ottobre 2014

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Niente revisioni delle aliquote IVA, niente ritocco all’insù della tassa di successione, niente aumento del gettito, se non attraverso nuove forme di lotta all’evasione: in poche parole, nella legge di stabilità non figurerebbe nessun rialzo delle tasse, ma alla base ci sarebbe prima di tutto la volontà politica di non appesantire più in nessun modo la pressione fiscale.

L’obiettivo della manovra dovrebbe essere dunque quello di rilanciare crescita e occupazione, destinando a questi obiettivi tutte le risorse che sarà possibile reperire. Proprio per questo, più che di tagli nel Governo preferiscono parlare di soldi che “trasleranno” da capitoli di spesa dove non sono utilizzati al meglio a settori dove possono invece risultare più fruttuosi per generare investimenti, creare posti di lavoro e – secondo l’impostazione voluta da Palazzo Chigi con il bonus IRPEF e che potrebbe essere replicata ora con l’operazione TFR in busta paga – per rilanciare i consumi. Il conto della manovra lievita dunque dai 20 miliardi iniziali a circa 23-24.

Come previsto nel DEF, 11,5 miliardi non andranno coperti, perché in deficit. Gli altri andranno reperiti dai tagli ai Ministeri e dalle riduzioni di spesa indicate dal commissario alla spending review Carlo Cottarelli. La sforbiciata alle municipalizzate sembra uno dei capitoli del piano Cottarelli su cui il Governo potrebbe puntare con più decisione già nel 2015, ottenendo una prima sfoltita tra 500 milioni e un miliardo. Renzi ha però fatto il punto ieri mattina anche con Pier Carlo Padoan, prima degli impegni internazionali che da mercoledì vedranno il Ministro dell’Economia in volo per Washington, per il summit Fmi, e poi per Bruxelles, dove lunedì e martedì prossimi sono fissate le consuete riunioni di Eurogruppo e Ecofin.

Sul tavolo dell’incontro sarebbero giunti i macro-capitoli della manovra (dal bonus IRPEF alla riduzione del costo del lavoro) e, probabilmente, anche il TFR, misura su cui il Tesoro, al contrario del premier, non si è mai esposto direttamente. Il nodo rimane infatti quello della compensazione delle imprese che resterebbero a corto di liquidità. Mentre le casse dell’Erario godrebbero di nuovi preziosi introiti (si calcola fino a 1,6 miliardi), la concessione di uno sconto sull’IRAP da 2 miliardi, aggiuntivo ma equivalente a quello ottenuto nel 2014, potrebbe non accontentare affatto le aziende. Non è escluso, dunque, che il taglio dell’IRAP, o comunque lo sconto sul costo del lavoro, possa valere qualcosa di più. In bilico sembra però al momento la concessione di un’IRAP agevolata per le imprese che esportano. (Redazione)

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