Le semplificazioni fiscali alle piccole imprese possono rivelarsi un rischio
Gentile Redazione,
la recente sentenza della Cassazione penale, sezione quinta (n. 38302 del 15 settembre 2016), mi porta a formulare alcune osservazioni, di sistema, che mi sorgono spontanee. La sentenza bene ha delineato i confini di una norma penale distinguendo il reato di bancarotta documentale semplice da quella fraudolenta sulla base, in sostanza, del disvalore sociale che il comportamento dell’imprenditore ha prodotto.
Più lieve allorquando costui semplicemente non tenga le scritture contabili obbligatorie di cui all’art. 2214 e ss. cc. (libro giornale, inventari) e, quindi, una sanzione penale a presidio della formalità codicistica. Con evidenza più grave nel caso in cui l’imprenditore stesso ponga in essere atti tesi all’occultamento di risorse, fatti o documenti che non consentano la ricostruzione del proprio volume di affari e del patrimonio in danno e frode dei creditori fallimentari.
Qui interviene appunto il più grave reato della bancarotta fraudolenta previsto dall’art. 216 L. fall. Sulla base del diritto vigente nel nostro Stato, e della comune esperienza, ritengo certamente condivisibile questa distinzione.
Consideriamo però che sempre di uno Stato di diritto tutti facciamo parte e che in esso, mi pare, si debba osservare una contraddizione di fondo esistente, sempre tra norme di legge, mai sanata e di cui nessuno sembra mai abbia voluto occuparsi.
Mi riferisco alle normative fiscali, anch’esse parte del nostro Stato di diritto e per tutte all’art. 18 del DPR 600/73, in base alla quale l’imprenditore può adottare un regime di contabilità c.d. semplificata allorquando il volume dei suoi ricavi non superi determinate soglie. In fatto questo regime agevolativo opzionale si rivolge alle imprese c.d minori per consentire loro un impianto contabile di minor impegno, rappresentato, in sostanza, dai registri ai fini IVA. Recenti e future norme semplificatorie, figlie della fatturazione elettronica, consentiranno ancor meno formalismi all’imprenditore.
Questo regime è largamente adottato da piccole imprese e imprenditori individuali, per i quali il legislatore fiscale ha ritenuto che l’impianto di contabilità ordinaria, cronologica e la tenuta del libro giornale e inventari, e quel che ne discende, possano costituire un gravame eccessivo rispetto alle dimensioni dell’azienda e del volume di attività. Quali sono queste imprese? Il piccolo alimentari di paese ovvero la rivenditoria di tabacchi sotto casa nostra, ad esempio, e questo ben può far comprendere quante siano.
Se poi ci si aggiunge la pletora di adempimenti, prettamente fiscali questa volta, cui l’imprenditore è soggetto, il Fisco ha certamente ragione a offrire un marketing di dispense, facilitazioni, semplificazioni, all’insegna del motto più disclosure e compliance (più tasse mi paghi) e meno adempimenti. Termini molto in voga nel Fisco di oggi, che recentemente si è presentato a Londra agli investitori per spiegare quanto sia conveniente investire in Italia.
Ma tutto questo a rischio e pericolo dell’imprenditore stesso, e forse anche del professionista, che tali opzioni di legge illustra e presenta come possibili – una bella manleva firmata forse sarà il minimo – in quanto qualora esso venga coinvolto, in tempi di crisi quali quelli che viviamo oppure no, in una procedura fallimentare/concorsuale, si aprono inevitabilmente le porte della bancarotta semplice, documentale, de minimis.
Ecco allora che il nostro legislatore nazionale dovrebbe far parlare tra loro le sue leggi, quelle fiscali in primo luogo, che spesso non parlano nemmeno tra di loro, per evitare “misunderstanding” difficili da spiegare... anche all’estero.
Siamo in tempi di annunciate riforme. Chissà.
Massimo Scotton
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Genova
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