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Falso penalmente rilevante anche se l’assegno non è trasferibile

/ REDAZIONE

Mercoledì, 21 marzo 2018

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La Cassazione n. 12599/2018 ha precisato che la falsificazione di assegni, seppure dotati della clausola di non trasferibilità, continua a costituire reato ai sensi dell’art. 491 c.p. (in tema di falsità in testamento olografo, cambiale o titoli di credito), anche dopo la depenalizzazione della falsità in scrittura privata (art. 485 c.p.).

La soluzione contraria, infatti, non trova fondamento nella lettera del citato art. 491 c.p., posto che la “girata” in senso tecnico è anche quella effettuata al banchiere per l’incasso, come si ricava dall’art. 43 del RD 1736/1933, ove si dice che il prenditore dell’assegno “non può girare l’assegno se non ad un banchiere per l’incasso”.
Al momento della girata per l’incasso, inoltre, il falso sull’assegno esercita ancora la sua funzione dissimulatoria, almeno nei confronti dell’impiegato della banca e dell’istituto di credito da questi rappresentato.

Peraltro, a voler seguire la soluzione contraria, potendo la clausola di non trasferibilità essere apposta anche su un assegno che al momento della emissione ne fosse privo, si arriverebbe al risultato paradossale di far dipendere la sussistenza o meno del reato dall’iniziativa dell’autore dello stesso, il quale potrebbe falsificare l’assegno e poi apporre la clausola di non trasferibilità.

Inoltre, ragionando alla luce dei commi 5 e 6 dell’art. 49 del DLgs. 231/2007, in forza dei quali tutti gli assegni bancari e postali emessi per un importo pari o superiore a 1.000 euro devono recare la clausola di non trasferibilità e possono essere girati unicamente per l’incasso a una banca o a Poste italiane spa, se ne dovrebbe inferire che la punibilità sarebbe esclusa per i falsi riguardanti assegni con importi pari o superiori a tale cifra, rimanendo soltanto per i falsi su assegni di importo inferiore.
Circostanza illogica e che non risulta nelle intenzioni del legislatore.

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