Il danno da demansionamento si prescrive dieci anni dopo la cessazione della condotta
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9318 depositata ieri, ha affermato che, al fine di individuare il dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale, occorre distinguere tra illecito istantaneo con effetti permanenti (che si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando permanere i suoi effetti nel tempo) e illecito permanente, nel quale la condotta contra ius si protrae, così protraendo la verificazione dell’evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce.
Nel primo caso, in base all’art. 2935 c.c., la prescrizione decorre dalla data in cui si è verificato il fatto (purché il danneggiato ne sia consapevole e non sussistano impedimento giuridici a far valere il diritto al risarcimento), mentre nel secondo caso, nella ricorrenza degli stessi presupposti, la prescrizione della pretesa risarcitoria decorre dalla data di cessazione della condotta illecita.
Nello specifico, la condotta datoriale che si concreta nella protratta adibizione del lavoratore a mansioni inferiori a quelle spettanti rientra tra le condotte illecite permanenti e, ai fini della prescrizione, deve aversi riguardo del momento della cessazione della stessa e non della data in cui si manifesta il danno da demansionamento subìto dal lavoratore.
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