La tardiva richiesta di fallimento ha rilevanza penale solo se gravemente colposa
La Cassazione n. 18108/2018 ha ribadito che la tardiva richiesta di fallimento assume la consistenza di un’omissione penalmente rilevante ove oggetto di una scelta caratterizzata da colpa di livello grave (cfr. Cass. n. 52751/2017).
La fattispecie di bancarotta semplice di cui all’art. 217 comma 1 n. 4 del RD 267/1942 è caratterizzata dalla condotta dell’imprenditore che “ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa”.
Rispetto a tale formula ci si potrebbe chiedere se la gravità della colpa debba o meno ritenersi presunta laddove il fallimento non sia tempestivamente richiesto dall’imprenditore in stato di insolvenza.
La soluzione affermativa di una siffatta presunzione pare, per un verso, priva di ragionevolezza, e, per altro, non l’unica autorizzata dal testo normativo.
Per il primo aspetto, non è difficile comprendere come il ritardo nell’adozione della, senza dubbio grave, decisione dell’imprenditore di richiedere il proprio fallimento possa essere ricollegato a una vasta gamma di dinamiche gestionali, che varia dall’estremo dell’assoluta noncuranza per gli effetti del possibile aggravamento del dissesto a quello dell’opinabile valutazione sull’efficacia di mezzi ritenuti idonei a procurare nuove risorse.
Per il secondo profilo, il fatto che la norma qualifichi nel segno della “altra grave colpa” le condotte diverse da quella di ritardato fallimento non implica necessariamente che quest’ultima sia intesa dal legislatore come manifestazione tipica di colpa grave.
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