Per il riciclaggio sufficiente qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivo a versamenti
Con la sentenza n. 56633 depositata ieri, la Corte di Cassazione ha annullato per mancanza di prova la condanna per il reato di riciclaggio del profitto del reato di infedele dichiarazione nei confronti di un consulente che aveva ideato un sistema per il trasferimento all’estero di ingenti somme.
Con l’occasione, i giudici ribadiscono alcuni principi in materia. Innanzitutto il riciclaggio è configurabile anche laddove il reato presupposto (nel caso di specie la fattispecie prevista dall’art. 4 del DLgs. 74/2000) sia estinto per prescrizione; tuttavia, in questa ipotesi si sarebbe dovuta provare l’evasione dell’imposta relativamente all’anno in contestazione.
Viene, inoltre, precisato che, essendo il reato di cui all’art. 648-bis c.p. a forma libera e potenzialmente a consumazione prolungata, attuabile anche con modalità frammentarie e progressive, integra di per sé un autonomo atto di riciclaggio qualsiasi prelievo o trasferimento di fondi successivo a precedenti versamenti, e anche il mero trasferimento di denaro di provenienza delittuosa da un conto corrente bancario a un altro diversamente intestato e acceso presso un differente istituto di credito (cfr. Cass. n. 43881/2014).
Per quanto attiene all’elemento soggettivo del delitto di riciclaggio, secondo i più recenti orientamenti, questo può essere integrato, come nel delitto di ricettazione, anche dal dolo eventuale quando l’agente si rappresenta la concreta possibilità, accettandone il rischio, della provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed investito.
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