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Determinazione dell’IVA evasa solo sulla base dei costi effettivamente documentati

/ REDAZIONE

Sabato, 21 marzo 2020

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Accogliendo il ricorso di un imprenditore, la Cassazione, nella pronuncia n. 10389/2020 ha precisato che, ai fini della configurabilità dei reati in materia di IVA, la determinazione della base imponibile, e della relativa imposta evasa, deve avvenire solo sulla base dei costi effettivamente documentati, non rilevando l’eventuale sussistenza di costi non documentati.

È, invece, possibile tenere conto di tali ultimi costi nelle ipotesi di reati concernenti le imposte dirette. Ciò in quanto l’imposta sul valore aggiunto è collocata in un sistema chiuso di rilevanza sovranazionale, che prevede la tracciabilità di tutte le fatture, attive e passive, emesse nei traffici commerciali, a nulla rilevando l’eventuale sussistenza di costi effettivi non registrati che, invece possono essere considerati con riferimento alle imposte dirette, non vincolati al rispetto di stringenti oneri documentali (cfr. Cass. n. 53980/2018 e Cass. n. 38684/2014).

Nel caso di specie era stata emessa un’ordinanza di sequestro per circa 400.000 euro a fronte della contestazione del reato di omessa dichiarazione previsto dall’art. 5 del DLgs. 74/2000, stante la mancata presentazione di dichiarazioni fiscali sia relative all’IVA che all’IRPEF.

Il provvedimento del Tribunale del riesame aveva, tuttavia, preso in considerazione unicamente i costi documentati sostenuti dal contribuente come ricavabili dal Registro IVA. Non erano, invece, state conteggiate le voci che in detti registri non sono comprese e che – nel caso in esame – consistevano in costi del personale, costi per affitti e locazioni, costi per utenze e servizi ed ammortamenti. Non vi è, in effetti, traccia di tali voci nella determinazione della base imponibile operata dal Tribunale del riesame, che – diversamente determinata – avrebbe potuto incidere sul calcolo della soglia di punibilità.

Va ricordato, infatti, che per la condotta di omessa dichiarazione è prevista una soglia di rilevanza penale pari a 50.000 euro, per ciascuna imposta evasa.
La medesima pronuncia sottolinea anche come il meccanismo di inversione contabile dell’IVA sia nato come strumento finalizzato alla lotta contro le frodi sull’imposizione indiretta, in modo da impedire che chi effettua la cessione di un bene e chi lo acquista non versino l’imposta di valore aggiunto o ne chiedano il rimborso all’Erario. In tale prospettiva, è ammissibile il sequestro penale anche laddove l’imprenditore si sia avvalso del reverse charge, come nel caso in esame.

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