Nella bancarotta vale la «zona di rischio penale»
La Cassazione, nella sentenza n. 6960/2021, ha affermato che, ai fini della ravvisabilità delle componenti oggettiva e soggettiva della fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale presenta valore fortemente indiziante il fatto che l’agente abbia agito nella c.d. “zona di rischio penale”, che è quella comunemente individuata nella prossimità rispetto allo stato di insolvenza, quando l’apprezzamento di uno stato di crisi, normalmente conosciuto dall’agente imprenditore o da figura equiparata, è destinato a orientare la “lettura” di ogni sua iniziativa di distacco dei beni – fatte salve quelle inquadrabili in altre ipotesi di reato pure previste dal RD 267/1942 – nel senso della idoneità a creare un pericolo per l’interesse dei creditori sociali.
Ciò non esclude, tuttavia, che il reato in questione possa rimanere integrato da comportamenti anche antecedenti a tale fase della vita della azienda, a condizione, però, che questi presentino caratteristiche obiettive (si pensi ad operazioni fittizie e a condotte di distruzione o dissipazione) che, di regola, non richiedono particolari e ulteriori accertamenti per provare la esposizione a pericolo del patrimonio e che risultino e permangano, come i seguenti, congruenti rispetto all’evento giuridico (esposizione a pericolo degli interessi della massa) che poi si addebita all’agente.
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