Siamo i primi a vedere nell’Ordine un organismo politico e non istituzionale
Gentile Redazione,
leggo l’intervento di Andrea Ferrari del 3 agosto 2021 (si veda “Il sistema ordinistico deve tornare ad avere un mandato meramente pubblico”) e ne apprezzo gli spunti. Ne condivido l’analisi e le conclusioni: l’Ordine è inteso come “ente pubblico” che deve occuparsi esclusivamente dei compiti assegnatigli dalla legge.
Al punto che molte volte, nei miei mandati come consigliere, mi sono posto il problema se una certa attività che comportasse una qualsiasi spesa, non espressamente inclusa nel mandato, potesse generare una forma di peculato o distrazione di fondi pubblici, in considerazione del fatto che le tasse di iscrizione sono state definitivamente qualificate come “imposte”.
Ciò vale sia a livello di Ordine locale che a livello centrale. Ad esempio – che volutamente faccio su fatti abbondantemente trascorsi – mi ero chiesto se la campagna pubblicitaria nazionale “Utili al paese” rispettasse detti limiti.
C’è però un ulteriore aspetto che a mio avviso manca nell’analisi del collega – che stimo e rispetto.
Come siamo arrivati a ciò?
A ben riflettere, in un mondo perfetto, alle elezioni dell’Ordine dovrebbero presentarsi colleghi senza avere alle spalle alcuna sigla sindacale di sostegno: se gli incarichi sono strettamente pubblici, cosa cambia dal punto di vista sindacale se Tizio ha un’idea della politica della professione diversa da Caio?
Le regole per tenere l’albo sono prefissate dalla legge, come pure quelle per la formazione.
E allora, perché – invece – alle elezioni locali vengono presentate liste in rappresentanza di sigle sindacali precise e ben evidenziate?
La stessa Associazione presieduta da Andrea Ferrari tende a presentare liste in propria rappresentanza – anche se talvolta in accordo elettorale con altre.
Ecco, la risposta alla domanda sostanziale posta da Andrea Ferrari la può trovare nella stessa ragione per cui la sua associazione presenta le proprie liste: anche nella rappresentanza istituzionale la politica ha il suo impatto.
Che dipenda da noi o dalle altre istituzioni – che quando guardano ai commercialisti pensano all’Ordine e non alle associazioni sindacali – non lo so dire.
Ma è un fatto che siamo tutti noi i primi – di fatto – a vedere nell’Ordine un organismo politico e non istituzionale. Salvo che quando siamo in minoranza ce ne lamentiamo, mentre quando siamo in maggioranza ce ne dimentichiamo...
Quanto ai ricorsi continui sulle elezioni, anche a me cascano le braccia... Preferirei non ci fossero perché, chiunque vinca, la professione perde: l’informazione viene spiattellata nei giornali generalisti e si dà l’immagine di una categoria litigiosa – dando pure adito al pensiero che l’elevato numero di cause tributarie sia imputabile a una certa aggressività innata dei commercialisti.
Ma siccome qualcuno di questi è stato accolto, non mi sento di darne la colpa a chi lo presenta, quanto piuttosto a chi ha approvato i provvedimenti impugnati.
Cerchiamo di fare le cose a regola d’arte, evitando (se mai fosse) di vedere un consigliere eletto dalla lista sindacale avversaria come nemico, e sforzandoci, a tutti i livelli, di mettere l’Ordine davanti a noi.
Giampiero Guarnerio
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano
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