Presupposto del patteggiamento è un debito tributario che possa essere pagato
La sentenza n. 1582 della Cassazione, depositata ieri, ha ribadito alcuni principi in tema di rapporto tra “patteggiamento” e pagamento del debito tributario.
Ai sensi dell’art. 13-bis comma 2 del DLgs. 74/2000, l’applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. può essere chiesta dalle parti solo quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché il ravvedimento operoso. Restano, ovviamente, salve le ipotesi in cui il pagamento del debito rilevi come causa di non punibilità ai sensi dell’art. 13 del DLgs. 74/2000.
Presupposto logico, prima ancora che giuridico, della condizione di accessibilità al patteggiamento è che le condotte determinino un debito tributario a carico del loro autore che questi possa assolvere.
Di conseguenza la condizione di ammissibilità del patteggiamento non è applicabile in relazione ai reati, quali l’emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 del DLgs. 74/2000), che sussistono pur in assenza di un’evasione di imposta, e quello di distruzione od occultamento delle scritture contabili (art. 10 del DLgs. 74/2000), la cui consumazione prescinde dall’evasione, tanto che in relazione a tali fattispecie non è stata ritenuta configurabile la circostanza attenuante di cui al comma 1 del medesimo art. 13-bis del DLgs. 74/2000 (Cass. n. 9883/2020).
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