Cinquant’anni dell’IVA, con valori sempre attuali e nuove sfide
Il 26 ottobre 1972 veniva emanato il DPR n. 633, più volte riformato e ancora in vigore
Cinquant’anni fa, il 26 ottobre 1972, “nasceva” in Italia l’imposta sul valore aggiunto, con il DPR n. 633, nell’ambito di una riforma tributaria più ampia che vedeva anche l’istituzione dell’imposta di bollo (DPR n. 642) e dell’imposta sugli spettacoli (n. 640). La nuova imposta entrava, quindi, in vigore il 1° gennaio 1973 con caratteristiche di generalità, proporzionalità, trasparenza, effettività e neutralità.
A differenza dei principali altri tributi nazionali, l’IVA si iscriveva nell’ambito comunitario, essendo forgiata sulla direttiva del Consiglio della Comunità economica europea n. 67/227/Cee in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari. La coerenza comunitaria del tributo è tuttora perseguita su un duplice livello: da un lato, la legislazione armonizzata che richiede il contributo di tutti gli Stati membri e, dall’altro, il ruolo interpretativo della Corte di Giustizia.
Nella c.d. “prima direttiva” del Consiglio venivano sanciti i principi ispiratori dell’imposta, in realtà autentici valori condivisi da tutti gli Stati della Comunità economica europea (e, oggi, dai 27 Stati dell’Unione europea).
L’imposta assumeva così il ruolo di “sentinella della concorrenza”, a protezione del funzionamento del mercato unico e quindi della libertà di azione degli operatori economici e dei consumatori finali.
Già dai considerando della “prima direttiva” si evince l’interesse del mercato comune ad armonizzare le legislazioni relative alle imposte sulla cifra d’affari (in Italia, sino al 1972, esisteva l’imposta generale sull’entrata), al fine di “eliminare, per quanto possibile, i fattori che possono falsare le condizioni di concorrenza, tanto sul piano nazionale quanto sul piano comunitario”.
L’obiettivo essenziale del Trattato istitutivo della Comunità europea è, d’altro canto, quello di instaurare, tra gli Stati aderenti, “un mercato comune, che implichi una sana concorrenza e presenti caratteristiche analoghe a quelle di un mercato interno”.
Inoltre, si prefigurava l’intenzione di raggiungere “l’obiettivo della soppressione dell’imposizione all’importazione e della detassazione all’esportazione negli scambi tra gli Stati membri”, risultato a cui si è effettivamente pervenuti nel 1993 con il mercato unico, l’abolizione delle barriere doganali interne alla Comunità europea e l’introduzione del regime IVA transitorio degli scambi intracomunitari.
L’art. 2 della “prima direttiva” definiva il meccanismo di funzionamento del tributo, qualificabile come imposta plurifase a prelievo frazionato, sostitutiva dei precedenti sistemi impositivi fondati sulla cifra d’affari.
Ciò si traduceva “nell’applicare ai beni ed ai servizi un’imposta generale sul consumo esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero di transazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase dell’imposizione”. Il nuovo sistema conduceva ad applicare il tributo anche nello stadio del commercio al minuto, poiché solo in tal modo poteva essere garantita la neutralità dell’imposta, comportando evidentemente anche un’armonizzazione delle aliquote e dei regimi di esenzione.
Nel corso degli anni, non sono mancate difficoltà applicative e fenomeni frodatori, resi evidenti dai rapporti sul VAT gap. Il legislatore ha, dunque, cercato di trovare il giusto (e difficile) equilibrio tra esigenze di semplificazione degli adempimenti e controllo del gettito erariale, tra regole stringenti per favorire la riscossione e norme sufficientemente ampie per accogliere le evoluzioni del mercato.
In questa tensione innovativa, il DPR n. 633/72 è stato precursore: ha introdotto, in deroga alla legislazione comunitaria, il sistema dello split payment (in ottica antifrode, poiché l’imposta non entra nella disponibilità del fornitore) e, dando impulso alla crescente digitalizzazione della società, ha sviluppato e imposto il sistema di fatturazione elettronica generalizzata, oggi coniugata alla predisposizione dei documenti fiscali precompilati (ivi inclusa la dichiarazione annuale).
Il tributo, per sua natura, ha saputo adattarsi alle modifiche di società e mercati, aggiornandosi alle sfide e alle opportunità dei tempi: si pensi all’adeguamento della legislazione nel corso della pandemia (introducendo l’aliquota zero per i beni di contrasto al COVID e i vaccini), nonché per la crisi energetica (adeguando le aliquote) o, in precedenza, garantendo l’aliquota ridotta anche agli e-book al pari dei testi cartacei.
Lo sforzo di modernizzazione e innovamento è testimoniato anche dai temi che vengono giornalmente sottoposti all’interprete, dalla sharing economy agli NFT e criptovalute.
Lo sguardo va, infine, a una delle prossime riforme (direttiva 2022/542/Ue) che non a caso riguarda il sistema delle aliquote, privilegiando il rafforzamento dei sistemi sanitari degli Stati membri, la transizione verso l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili e la digitalizzazione dell’economia unionale.
Auguri all’imposta sul valore aggiunto per il suo cinquantesimo “compleanno”, sicuri che continuerà a presidiare il mercato, affinché possa essere sempre più equo, inclusivo e trasparente.