Prova del dolo per l’accollo di crediti inesistenti
La loro inesistenza costituisce di per sé un indice rivelatore della volontà di bilanciare i propri debiti con una posta creditoria artificiosamente creata
Secondo la giurisprudenza penale, l’inesistenza del credito costituisce di per sé, salvo prova contraria, un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l’Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, ingannando il fisco. Diverso è il caso in cui vengano dedotti crediti non spettanti, sebbene certi nella loro esistenza e ammontare: qui occorre provare la consapevolezza da parte del contribuente che il credito non sia utilizzabile in sede compensativa (cfr. Cass. n. 5934/2019).
La sentenza n. 43613 depositata ieri dalla Cassazione torna così sul tema del dolo del reato di indebita compensazione (art. 10-quater del DLgs. 74/2000), confermando il sequestro del profitto nei confronti del legale rappresentante di una srl
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