La codatorialità amplia la tutela ma non raddoppia la retribuzione
La Suprema Corte conferma la solidarietà; non muta però la natura delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro
Dalla codatorialità consegue il riconoscimento della responsabilità solidale tra tutti i datori di lavoro senza, tuttavia, che da ciò il lavoratore possa pretendere il pagamento di una doppia retribuzione.
Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza n. 16839 del 23 giugno 2025, che ha esaminato la codatorialità nell’ambito di un gruppo di imprese.
La sentenza offre numerosi spunti che consentono una riflessione su un istituto sempre più diffuso, a quasi tre anni dalla pubblicazione del DM 205/2021, di definizione delle modalità operative delle comunicazioni telematiche, relative ai lavoratori posti in codatorialità o distaccati nell’ambito dei contratti di rete, di cui all’art. 3 commi 4-ter e 4-sexies del DL 5/2009 e, soprattutto, della nota INL n. 315/2022, che ha accompagnato il citato decreto.
In particolare, proprio l’atto di prassi dell’Ispettorato trova nella sentenza in commento numerose conferme rispetto agli orientamenti tracciati sugli effetti sostanziali della codatorialità sul rapporto di lavoro e sulle tutele riconosciute al lavoratore. L’Ispettorato, partendo dal contenuto del DM 205/2021, ha ritenuto, infatti, che la codatorialità determini, a differenza del distacco, la complessità soggettiva della parte datoriale senza, tuttavia, il venire meno delle obbligazioni tipiche di un datore di lavoro, che ricadranno identiche su tutti i codatori.
Mentre nel caso di distacco si viene a determinare sostanzialmente un rapporto bilaterale tra impresa retista distaccante e impresa retista distaccataria, nella codatorialità tutti i retisti hanno la possibilità di rivestire il ruolo di codatori, con l’effetto vantaggioso di potersi avvalere del lavoratore spalmandone i costi di gestione all’interno della rete. Questa scelta ha, comunque, un suo prezzo, in quanto l’impresa retista, accettando di rivestire il ruolo di codatore e di rispettare le regole di ingaggio del personale posto a fattor comune, sarà soggetta alla responsabilità tipica dei condebitori, i quali, secondo quanto previsto dall’art. 1294 c.c., sono tutti tenuti in solido se dalla legge o dal titolo non è previsto diversamente.
Tale orientamento trova conferma nella giurisprudenza della Cassazione che ha spiegato, in coerenza con i propri precedenti orientamenti, come tali effetti derivino anche da una situazione “di fatto”, all’interno di un gruppo di imprese. Secondo la Corte, infatti, la condivisione della prestazione del lavoratore, al fine di soddisfare l’interesse di gruppo, da parte delle diverse società, che esercitano i tipici poteri datoriali e diventano datori sostanziali, si fonda sul principio di effettività e determina la configurabilità in concreto di un unico soggetto datoriale, secondo lo schema dell’obbligazione soggettivamente complessa e, quindi, del rapporto plurisoggettivo di codatorialità.
Tutto ciò, prosegue la Cassazione, configura l’unicità del rapporto di lavoro e tutti i fruitori dell’attività del lavoratore devono essere considerati solidalmente responsabili nei suoi confronti per le obbligazioni relative ai sensi dell’art. 1294 c.c.
Tuttavia, nella motivazione, la Suprema Corte aggiunge un ulteriore e opportuno passaggio.
Sebbene la codatorialità, quale fenomeno giuridico, determini, per il lavoratore, nei confronti del datore di lavoro sostanziale la garanzia della solidarietà dei soggetti formalmente plurali per i debiti retributivi e risarcitori o reintegratori in caso di illegittimità del recesso, la stessa non va a mutare la natura delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro. In tal senso, ad esempio, permane quanto al credito/debito retributivo l’unitarietà della retribuzione conforme alla qualità e quantità del lavoro prestato, senza determinare un obbligo di più retribuzioni per quanti siano i datori di lavoro formali. La codatorialità, infatti, non si identifica con un’autonoma garanzia o con un’obbligazione riferibile a diversa causa concreta, e dunque non è ammissibile la sostituzione soggettiva in luogo della solidarietà, che si tradurrebbe in una duplicazione di tutele.
Particolarmente interessante anche quanto affermato in relazione al recesso illegittimo del rapporto in codatorialità, aspetto non affrontato al tempo dall’INL.
Secondo la Cassazione, infatti, nell’ambito della codatorialità risulta necessario, ai fini della protezione da un licenziamento illegittimo, una preventiva impugnazione nei confronti di tutti i soggetti identificabili come codatori in quanto non opera la solidarietà passiva derivante dall’unicità del rapporto.
Questi ultimi, a parere dello scrivente, potranno essere quelli formalmente identificati nell’ambito di un contratto di rete e nelle relative comunicazioni telematiche di codatorialità, inviate dalla referente della rete, ovvero quelli che si sono dimostrati codatori, secondo un principio di effettività, per aver esercitato i poteri datoriali e utilizzato la prestazione del lavoratore.
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