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Martedì, 30 settembre 2025 - Aggiornato alle 6.00

LAVORO & PREVIDENZA

Ai marittimi va applicata la nozione europea delle ferie

Anche alla gente di mare devono essere garantite condizioni economiche equiparabili a quelle normalmente godute

/ Federico ANDREOZZI

Martedì, 30 settembre 2025

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Anche ai lavoratori marittimi deve essere riconosciuta una retribuzione corrispondente alla nozione europea di remunerazione delle ferie, in misura tale cioè, da garantire al prestatore di lavoro condizioni economiche comparabili a quelle godute quando svolge attività lavorativa. Così si è pronunciata la Suprema Corte, con la sentenza n. 25120/2025.

Nel caso di specie, un lavoratore aveva presentato ricorso per ottenere il riconoscimento delle differenze retributive dovute nel computo dell’indennità sostitutiva per ferie, calcolate includendo nella retribuzione base anche l’indennità di comando e direzione di macchina, il premio di produttività in cifra fissa, di risultato e il salario per prestazioni di qualità. Già la Corte d’Appello aveva sostenuto che la nozione di retribuzione ai fini dei c.d. istituti indiretti fosse individuabile solo attraverso la specifica previsione di norme di legge o di contratto collettivo; da qui, veniva in rilievo l’art. 325 del Codice della navigazione, che conferisce espressa delega, per tale designazione, alle norme della contrattazione collettiva: in forza della struttura retributiva prevista dal contratto collettivo applicato al rapporto, non avrebbero dovuto essere computate nell’indennità sostitutiva delle ferie le voci invocate dal lavoratore. Inoltre, il giudice di seconde cure sosteneva come non potesse trovare applicazione alla “gente di mare” – il cui orario è regolamentato dalla direttiva Ce 1999/63 – la nozione di retribuzione di cui alla direttiva Ce 2003/88.

Giunti quindi al terzo grado di giudizio, la Corte di Cassazione ribadisce preliminarmente come l’espressione “ferie annuali retribuite” di cui all’art. 7 della direttiva Ce 2003/88 debba essere interpretata – conformemente a quanto sancito dalla giurisprudenza eurounitaria – nel senso che, per tutta la durata delle ferie, debba esse mantenuta la retribuzione ordinaria. Ciò, con la finalità di assicurare una situazione equiparabile a quella in cui è posto il lavoratore durante i periodi di lavoro, anche in considerazione del fatto che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere quest’ultimo dall’esercitare il diritto alle ferie (cfr. Corte di Giustizia Ue del 15 settembre 2011 resa nella causa C-155/10).

Anche con riferimento al compenso da erogare in ragione del mancato godimento delle ferie, la Corte chiarisce che la retribuzione da usare come parametro deve comprendere qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni (cfr. Cass n. 37589/2021). Come accennato, la Corte d’Appello aveva però sostenuto che la direttiva Ce 2003/88 non potesse trovare applicazione alla “gente di mare”, anche in forza del considerando n. 12, che esclude espressamente detti lavoratori dall’applicazione della stessa; tale obiezione, precisano i giudici di legittimità, non è risolutoria. Infatti, la menzionata direttiva Ce 1999/63 – che aveva come obiettivo l’attuazione dell’accordo relativo all’organizzazione dell’orario di lavoro della “gente di mare”, concluso tra le organizzazioni rappresentanti i datori di lavoro e i lavoratori del settore marittimo – all’art. 2 § 2, specifica che “[l]’attuazione delle disposizioni della presente direttiva non costituisce in ogni caso motivo sufficiente per giustificare una riduzione del livello generale di protezione dei lavoratori nell’ambito coperto dalla stessa”. Inoltre, la clausola n. 16 dell’accordo allegato alla direttiva recita: “[l]a gente di mare ha diritto di beneficiare di ferie annuali retribuite di almeno due settimane […] in conformità delle condizioni previste dalla legislazione nazionale e/o dalla prassi ai fini e a garanzia di queste ferie”.

Ebbene, il contenuto di tale clausola, evidenzia la Corte, è sostanzialmente identico al dettato dell’art. 7 della direttiva Ce 2003/88, che reca le disposizioni in considerazione delle quali si è delineata a livello di giurisprudenza la nozione europea ai fini delle ferie. Viene quindi in rilevo l’art. 8 del DLgs. 108/2005 (attuativo della direttiva Ce 1999/63) che, alla rubrica “ferie”, per il lavoratore marittimo regola l’istituto in termini corrispondenti alla riportata clausola n. 16 dell’accordo allegato alla direttiva del 1999 (a sua volta, si ribadisce, di tenore quasi identico all’art. 7 della direttiva Ce 2003/88).

In virtù di ciò, la Cassazione conclude, asserendo che, pur non essendo direttamente applicabile alla “gente di mare” l’art. 7 della direttiva 2003/88, non vi sarebbe il “minimo plausibile motivo” per sostenere che per tali lavoratori operi una nozione di retribuzione ai fini delle ferie (godute o meno) differente da quella eurounitaria. Pertanto, i giudici di legittimità accolgono il ricorso, cassando la sentenza e chiarendo che il giudice del rinvio dovrà, senza arrestarsi dinanzi a denominazioni eventualmente presenti nelle disposizioni collettive, di volta in volta accertare la natura retributiva di tutte le differenti voci economiche non considerate.

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