Se sono prescritte limitazioni fisiche per il lavoro scorretto fare il personal trainer
L’attività di personal trainer era svolta in ambito extralavorativo
È legittimo il licenziamento disciplinare del lavoratore che, seppur in presenza di prescrizioni mediche che sconsiglino determinate tipologie di sforzi fisici, con conseguenti limitazioni nello svolgimento dell’attività lavorativa, al di fuori dell’orario di lavoro svolga contemporaneamente l’attività di personal trainer. Lo ha statuito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 28367 depositata ieri.
Il caso di specie riguardava un dipendente che era stato ritenuto idoneo, dal medico aziendale competente, a una specifica mansione con la limitazione della movimentazione manuale dei carichi al di sopra dell’altezza della spalla e con la limitazione della movimentazione manuale di carichi con peso superiore ai 18 kg.
Nonostante ciò, il dipendente in questione, in ambito extralavorativo, svolgeva l’attività di personal trainer iscritto alla Federazione Italiana Pesistica (FIPE), ragion per cui l’azienda gli aveva contestato disciplinarmente lo svolgimento di attività e di allenamenti incompatibili con le suindicate prescrizioni mediche. Il lavoratore, del resto, non ne aveva negato lo svolgimento; anzi, dalla lettura della pronuncia emerge che aveva anche pubblicato su una piattaforma social – aperta all’accesso di un numero non definito di persone – delle immagini relative a tale attività, anche con finalità di promozione personale.
Ne conseguiva quindi il suo licenziamento per giusta causa.
I giudici di legittimità hanno ritenuto corretta la decisione, in considerazione del fatto per cui la predetta condotta extralavorativa risultava essere in conflitto con gli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro.
Nella sentenza si chiarisce che i predetti obblighi non riguardano solo il corretto adempimento della prestazione principale, ma si estendono fino a ricomprendere il rispetto dei principi generali di correttezza e buona fede.
Dal rapporto di lavoro deriva infatti l’obbligo di fedeltà in capo ai lavoratori, che ha un contenuto più ampio rispetto al disposto di cui all’art. 2105 c.c. (secondo il quale il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio). Tale obbligo si integra in realtà con i predetti principi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c., i quali interessano anche i comportamenti extralavorativi.
Nella sentenza si precisa che il datore di lavoro, oltre ad avere l’interesse al corretto adempimento della prestazione principale, ha appunto anche interesse al rispetto degli obblighi accessori a tale prestazione, che trovano fonte nei doveri di correttezza e buona fede. Tali obblighi accessori si traducono nel divieto di porre in essere, al di fuori dall’ambito lavorativo, “comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso” e, se connotati da particolare gravità, tali comportamenti possono anche giustificare l’intimazione di un licenziamento disciplinare (cfr. Cass. n. 267/2024 e Cass. n. 31866/2024).
I lavoratori non devono, pertanto, porre in essere condotte in contrasto con i doveri connessi con l’inserimento nella struttura e nell’organizzazione aziendale o che creino situazioni conflittuali con le finalità e gli interessi del datore di lavoro, o ancora che siano idonee a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto. In difetto, i comportamenti extralavorativi posti in essere possono anche giustificare l’intimazione di un licenziamento per motivi soggettivi. A tal fine non è necessaria l’integrazione degli estremi di un reato, ma basta che tali comportamenti abbiano un’oggettiva ripercussione sullo svolgimento dell’attività o sull’affidamento che il datore di lavoro ha sull’esatto futuro adempimento della prestazione (si veda “Le condotte extralavorative possono giustificare il recesso” del 6 gennaio 2021).
In ragione di ciò, i giudici hanno ritenuto che il non occasionale svolgimento dell’attività di personal trainer da parte del dipendente, in considerazione delle limitazioni imposte dal medico aziendale, fosse un comportamento gravemente in contrasto con l’obbligo di fedeltà e con i suddetti doveri di correttezza e buona fede, determinando un’irrimediabile compromissione della fiducia dell’azienda nella futura corretta esecuzione del rapporto di lavoro.
L’idoneità a giustificare il recesso datoriale del comportamento extralavorativo va quindi valutata sotto il profilo della compromissione del vincolo fiduciario che caratterizza il rapporto lavorativo, prescindendo dall’entità del danno economico eventualmente prodotto.
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