Nella donazione immobiliare la dichiarazione cumulativa espone all’accertamento
Il contribuente che presenta tale dichiarazione, ma intende avvalersi della valutazione automatica, deve indicare analiticamente il valore dei cespiti
Ai fini dell’applicazione dell’imposta di donazione, il valore degli immobili deve essere individuato nel “valore venale in comune commercio alla data” dell’atto di donazione (art. 14 del DLgs. 346/90).
Tuttavia, a norma dell’art. 34 comma 5 del DLgs. 346/90, nell’ambito dell’imposta di donazione opera tuttora la c.d. “valutazione automatica”, in base alla quale l’Amministrazione finanziaria non può sottoporre a rettifica il valore degli immobili iscritti in catasto con attribuzione di rendita, se dichiarato in misura corrispondente al c.d. “valore catastale”, che si ottiene moltiplicando la rendita catastale rivalutata per specifici coefficienti. Va precisato che la valutazione automatica è preclusa per le aree edificabili.
Tale disciplina, che è rimasta intatta anche a seguito della riforma operata dal DLgs. 139/2024, non incide sulla base imponibile dell’imposta di donazione, che resta ancorata al valore venale dei beni donati, ma configura un limite all’attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria.
Una recente ordinanza della Cassazione (7 luglio 2025 n. 18512) ha fornito un interessante esempio di applicazione di queste norme, con particolare riferimento a un caso in cui oggetto di donazione erano molteplici immobili. In questa ipotesi, infatti, è lecito chiedersi se, per avvalersi del limite ai poteri di accertamento, il contribuente possa indicare un valore cumulativo degli immobili o se debba indicare i singoli valori.
Nel caso di specie, un soggetto aveva donato ai figli la nuda proprietà di diversi immobili, tra i quali figuravano anche alcuni immobili collabenti (categoria catastale F/2), nonché le aree di risulta dalla demolizione di tre fabbricati rurali (sprovviste di rendita).
I contribuenti avevano dichiarato un valore di 390.000 euro, di cui 10.000 per i fabbricati collabenti.
L’Agenzia delle Entrate aveva provveduto ad accertare il maggior valore, ritenendo che non le fosse opponibile la valutazione automatica.
A seguito di ricorso dei contribuenti, la vicenda giungeva di fronte alla Commissione tributaria regionale, la quale riteneva che l’Amministrazione non potesse procedere all’accertamento, considerato che, sebbene i contribuenti non avessero distinto i valori dei beni provvisti e sprovvisti di rendita, tuttavia, dall’indicazione fornita dai contribuenti (390.000 euro valore totale, di cui 10.000 euro per i collabenti) era possibile desumere un valore di 380.000 per gli immobili provvisti di rendita che risultava superiore al valore di 373.000 euro risultante dall’applicazione dei coefficienti.
La Cassazione non ritiene corretta questa motivazione e accoglie il ricorso dell’Agenzia.
La Corte precisa che, se il contribuente presenta una dichiarazione dei valori immobiliari cumulativa, avente a oggetto una pluralità di cespiti, ma intende avvalersi della valutazione automatica, ha l’onere di indicarne analiticamente il valore, in modo da consentire all’Amministrazione di controllare la corrispondenza di ciascuno di essi ai parametri di valutazione automatica. In mancanza di questa indicazione e alla presenza di un unico valore globale, l’Agenzia delle Entrate ha il potere di rettifica, ricorrendo ai valori di mercato.
La Cassazione chiarisce infatti che l’espressione “valore degli immobili iscritti in catastato”, ex art. 34 comma 5 del DLgs. 346/90, va intesa come “valore [...] del singolo immobile”, posto che, in caso contrario, la comparazione tra valore dichiarato e valore catastale di riferimento non potrebbe essere effettuata.
Se, in presenza di una donazione avente a oggetto più immobili, il contribuente indicasse cumulativamente i diversi valori, l’Amministrazione finanziaria sarebbe in condizioni di verificare solo se il valore “globale fosse inferiore o uguale o superiore alla somma dei redditi, ma non di verificare se il valore [...] del singolo bene fosse inferiore o uguale o superiore al reddito per esso stabilito”: in pratica, “dichiarando un valore complessivo non inferiore alla somma dei redditi catastali, il contribuente precluderebbe all’Amministrazione finanziaria di attribuire al singolo bene il valore reale”.
Nel caso di specie, quindi, la Commissione tributaria regionale non ha agito correttamente, in quanto:
- ha assimilato fabbricati demoliti e collabenti (che invece indicano fattispecie nettamente differenti, in quanto il fabbricato demolito è completamente distrutto e, quindi, inutilizzabile e può essere rimosso dal catasto, mentre il collabente è in stato di degrado e può essere utilizzato per interventi di ristrutturazione e resta registrato in catasto);
- inoltre, ha ritenuto che l’eccedenza del valore cumulativamente dichiarato dai contribuenti per gli immobili muniti di rendita, rispetto al valore risultante dai moltiplicatori catastali, precludesse la rettifica di valore anche per le aree di risulta dei fabbricati demoliti (ancorché sprovviste di rendita) che non avrebbero potuto essere ricomprese nel valore dei collabenti.
Era, invece, corretto l’operato dell’Amministrazione, che aveva stimato il valore di questi immobili sulla base del valore venale, posto che la valutazione automatica non poteva applicarsi a immobili privi di rendita.
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