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IMPRESA

Epidemia colposa per le omissioni del datore di lavoro

Per le Sezioni Unite si tratta di un reato «a forma libera» che può essere realizzato con diverse tipologie di condotta

/ Maria Francesca ARTUSI

Martedì, 29 luglio 2025

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Il delitto di epidemia colposa, contestato in connessione alla diffusione del COVID-19 in una struttura sanitaria, può essere integrato in caso di omissioni da parte del datore di lavoro.
Tale fattispecie è disciplinata dall’art. 438 c.p., che punisce chiunque cagioni un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni.
Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 27515 depositata ieri, hanno confermato la compatibilità di tale fattispecie con la causalità omissiva prevista dall’art. 40 comma 2 c.p. (impedire il verificarsi di un evento equivale a cagionarlo).

Nel caso di specie, l’accusa contestava al delegato del datore di lavoro ex art. 16 del DLgs. 81/2008 la colpa di avere cagionato un’epidemia di SARS-CoV-2 (agli inizi del 2020) all’interno di un ospedale, non fornendo ai lavoratori dello stesso i necessari dispositivi di protezione individuale, in numero idoneo, al fine di contrastare, all’interno del nosocomio, la diffusione del virus. Viene altresì contestato di non avere assicurato ai lavoratori una formazione sufficiente e adeguata al rischio proveniente da tale virus e di non aver adottato misure collettive e individuali di protezione dal rischio biologico. Il Tribunale di merito aveva assolto tale soggetto ritenendo che tali condotte omissive non potessero fondare il reato in questione.

Investite del tema, però, le Sezioni Unite evidenziano che il dato normativo dell’art. 438 c.p. si limita a prevedere come reato il cagionare “un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni”. Viene quindi ripudiato l’assunto – che, ove ritenuto condivisibile, impedirebbe qualunque prospettazione di reato non solo omissivo, ma, addirittura colposo – che detta diffusione possa esservi solo in quanto la stessa avvenga per effetto di “spargimento” dei germi patogeni a opera del soggetto agente, con la conseguenza, ad esempio, che non potrebbe cagionare un’epidemia chi, infetto, contagi altre persone.
Si tratta dunque di un reato “a forma libera” che può essere realizzato con diverse tipologie di condotta.

Venendo in particolare alla c.d. “posizione di garanzia” necessaria per fondare una responsabilità ai sensi dell’art. 40 comma 2 c.p. già citato, i giudici di legittimità affermano che la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante. Il principio di colpevolezza richiesto dalla Costituzione per ogni addebito di natura penale (art. 27 Cost.), impone la verifica in concreto della sussistenza della violazione – da parte del garante – di una regola cautelare (generica o specifica), della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), nonché della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso.

Resta dunque fermo che, per aversi reato nella forma omissiva, dovrà pur sempre sussistere, alla stregua dei principi generali da osservarsi anche in tal caso, in primo luogo la prova degli elementi in base ai quali opera la previsione dell’art. 40 citato, ovvero la sussistenza, in capo al soggetto agente, dell’obbligo giuridico di attivarsi, discendente dalle fonti di responsabilità che la giurisprudenza penale ha, nel tempo, individuato.
In secondo luogo, con specifico riguardo al reato di epidemia – da tenere sempre necessariamente distinto dai reati che si limitino a ledere la salute individuale – sarà necessaria la valutazione, da compiere in presenza di una legge scientifica di copertura e secondo i principi della causalità generale, circa l’omesso impedimento della diffusione del germe a determinare o a concorrere nella determinazione del fenomeno rapido, massivo e incontrollabile, lesivo del bene-collettivo della salute (cfr. Cass. SS.UU. n. 38343/2014).

Da verificare la sussistenza effettiva della colpa del datore

Le Sezioni Unite annullano dunque la sentenza di assoluzione in quanto fondata sull’assunto della impossibilità in linea teorica di configurare la epidemia colposa nella forma della omissione.
È chiaro, tuttavia, che il giudice del rinvio sarà chiamato a verificare la sussistenza effettiva della colpa del datore di lavoro, avendo riguardo al concreto accertamento del comportamento che avrebbe dovuto e potuto tenere per evitare il verificarsi dell’evento in un momento così critico per la sanità e per la società tutta.

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