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LAVORO & PREVIDENZA

Legittimo il licenziamento del lavoratore ultras violento con la polizia

La Cassazione fa chiarezza su passaggio in giudicato della condanna penale e tempestività della contestazione disciplinare

/ Federico ANDREOZZI

Lunedì, 8 settembre 2025

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In materia di licenziamento e condotte extralavorative, al fine di valutare la tempestività della sanzione disciplinare, deve farsi riferimento alla condanna in sede penale e al relativo passaggio in giudicato.
È questo il principio recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione con la pronuncia n. 24100/2025, nell’ambito di una controversia che vedeva coinvolto un lavoratore, con la qualifica di operaio, licenziato per aver riportato una condanna ad una pena detentiva di otto mesi con sentenza passata in giudicato per delle azioni commesse al di fuori dal contesto lavorativo.

Il dipendente – punito per “oltraggio alle forze di polizia di stato e istigazione a commettere delitti di resistenza e delitti contro la persona” nonché per “aver offeso con più azioni […] l’onore e il prestigio di un pubblico ufficiale” –, realizzava detti reati nel contesto delle tifoserie calcistiche, anche mediante l’utilizzo di frasi gravemente ingiuriose.

Già la Corte d’Appello di Catania aveva affermato la legittimità del licenziamento, ponendo in evidenza la gravità dei fatti per i quali il dipendente veniva condannato in sede penale, in considerazione delle fattispecie incriminatrici violate, del concreto disvalore penale derivante dalla natura delle persone offese e dei beni giuridici tutelati nonché della reiterazione delle condotte nel corso di ben due anni. Il licenziamento veniva, pertanto, ritenuto giustificato per il motivo soggettivo, sebbene si trattasse di reati commessi al di fuori dell’attività lavorativa, stante la compromissione dell’elemento fiduciario che connota il rapporto di lavoro.

La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi su ricorso del lavoratore, conferma quanto statuito dal giudice di seconde cure: anche se tali azioni venivano commesse al di fuori dell’attività lavorativa, le stesse si sostanziavano in fatti gravi di negazione di valori etici e morali, tali da pregiudicare appunto la “statura morale” del lavoratore e da giustificarne il licenziamento disciplinare.

A ben vedere, il tema del rapporto tra condotte extralavorative e licenziamento torna sovente all’attenzione dei giudici di legittimità, i quali sono costanti nel ribadire come le condotte violente o aggressive tenute dai dipendenti anche esternamente al luogo di lavoro e al di fuori dall’orario lavorativo possano incidere sul vincolo fiduciario necessario alla prosecuzione del rapporto, generando un riflesso sulla funzionalità dello stesso e compromettendo le aspettative di un futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa.

Il lavoratore è tenuto, infatti, non solo a fornire la prestazione richiesta, ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore (cfr. Cass. n. 3971/2025).
Nel caso in esame, tuttavia, viene in rilievo anche un altro aspetto della questione, che attiene però al tempo decorrente tra irrogazione della contestazione disciplinare e commissione del fatto: le condotte del dipendente erano note al datore sin dal 2010 e la sentenza della Corte d’Appello penale veniva emessa nel dicembre del 2012; nessuna conoscenza ne aveva però il datore sino al mese di ottobre 2016, in cui veniva emessa la contestazione disciplinare. Ebbene, sul punto la Corte chiarisce come l’arco temporale tra i fatti e la loro contestazione debba decorrere dall’avvenuta conoscenza da parte del datore di lavoro della situazione contestata e non dall’astratta conoscibilità dei fatti stessi. Ad un’attenta analisi, il “prudente indugio” del datore di lavoro che attende l’esito del processo penale prima di procedere alla contestazione disciplinare, si pone nell’interesse del lavoratore, che sarebbe altrimenti colpito da accuse avventate.

Ai fini della valutazione della tempestività della sanzione disciplinare deve, quindi, aversi riguardo alla condanna in sede penale e al relativo passaggio in giudicato. Né assume rilievo la circostanza per cui il datore di lavoro si sia attivato per conoscere gli esiti del procedimento penale: quest’ultimo infatti ha il potere, ma non l’obbligo, di controllare in modo continuo i propri dipendenti, non essendo previsto dalla legge né desumibile dai principi di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. Sicché, in conclusione, la tempestività della contestazione disciplinare va valutata non in relazione al momento in cui il datore avrebbe potuto accorgersi dell’infrazione, bensì alla data in cui l’illecito “viene conosciuto in termini circostanziati”.
Per un approfondimento in materia si rinvia a “Condotte extralavorative e rapporto di lavoro” della rivista La Consulenza del Lavoro.

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