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Giovedì, 11 settembre 2025 - Aggiornato alle 6.00

IL CASO DEL GIORNO

Effetto penale variegato per la conciliazione giudiziale

/ Alfio CISSELLO

Giovedì, 11 settembre 2025

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Notificato il ricorso, la pretesa tributaria può essere definita mediante conciliazione giudiziale secondo le forme degli artt. 48 e ss. del DLgs. 546/92. In detta sede è possibile giungere ad un accordo che chiuda la vertenza a spese compensate, previa eventuale rideterminazione della pretesa; le sanzioni amministrative vanno in questo caso pagate nella misura del 40% del minimo (in primo grado), del 50% del minimo (in secondo grado) o del 60% del minimo (in Corte di Cassazione).

Specie a seguito delle innovazioni apportate dal DLgs. 87/2024, sono molteplici i riflessi penali della conciliazione giudiziale.
Per prima cosa, opera l’art. 20 comma 1-bis del DLgs. 74/2000 per cui l’accordo può essere prova del fatto penalmente rilevante; sebbene la norma menzioni testualmente il solo accordo di adesione, esigenze di ordine sistematico inducono ad affermare che ciò valga altresì per la conciliazione, che sotto questo aspetto in poco o nulla si differenzia rispetto all’accertamento con adesione.

In conseguenza di ciò, pur non avendo alcun obbligo, se la pretesa, a seguito della conciliazione, viene ricondotta al di sotto della soglia di punibilità penale il giudice penale può trarne le debite conseguenze.
Tanto premesso, se il pagamento intero delle somme risultanti dall’accordo conciliativo avviene entro la fine del dibattimento penale di primo grado, il contribuente/imputato può beneficiare dell’attenuante prevista dall’art. 13-bis del DLgs. 74/2000.

Qualora sia in corso la dilazione a 8 o 16 rate trimestrali di pari importo, il processo penale, alle condizioni indicate dalla norma appena richiamata, può essere sospeso per un certo periodo di tempo in modo che il contribuente possa terminare di pagare le rate, senza perdere i benefici penali.

In alcuni casi il pagamento delle somme derivanti dalla conciliazione può addirittura rendere il reato non punibile.
Ciò non si può verificare per i delitti dichiarativi previsti dagli artt. 2, 3, 4 e 5 del DLgs. 74/2000 (dichiarazione omessa, infedele o fraudolenta) considerato che l’art. 13 comma 2 del DLgs. 74/2000 subordina la non punibilità al pagamento intero delle somme avvenuto in assenza di controlli, circostanza incompatibile con la conciliazione giudiziale, per definizione successiva ai controlli. Per questi reati, spetta quindi la sola circostanza attenuante.

Spesso l’effetto è la mera attenuante

La non punibilità può sussistere unicamente per i delitti indicati all’art. 13 comma 1 del DLgs. 74/2000, quindi per l’omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis del DLgs. 74/2000), di IVA (art. 10-ter del DLgs. 74/2000) e per la compensazione di crediti non spettanti (art. 10-quater comma 1 del DLgs. 74/2000).

Onde sussista la non punibilità, il pagamento deve intervenire non entro la fine ma entro l’apertura del dibattimento penale di primo grado, con possibilità di proroga, ad opera del giudice penale, di massimo 6 mesi.
Se il pagamento non può avvenire entro il termine indicato ad esempio per mancanza di fondi, potrà essere effettuato entro il ben più ampio termine del successivo art. 13-bis, ma avrà il valore di circostanza attenuante.

Relativamente al reato di indebita compensazione di crediti inesistenti (art. 10-quater comma 2 del DLgs. 74/2000) spetta invece la sola circostanza attenuante ex art. 13-bis del DLgs. 74/2000.

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