Obblighi del preliminare non sempre cancellati dal definitivo difforme
Sopravvivono al definitivo le pattuizioni che condizionano la realizzabilità dell’intera operazione
La recente sentenza n. 24465/2025 della Corte di Cassazione offre lo spunto per indagare sui rapporti tra il contratto preliminare e il contratto definitivo, in relazione al peculiare caso in cui una delle parti, non avendo adempiuto ad una o più obbligazioni nascenti dal primo negozio, invochi l’intervenuta soppressione delle pattuizioni disattese, per effetto della difforme disciplina del rapporto contrattuale dettata dall’accordo definitivo; e ciò al fine di andare esente dalla responsabilità risarcitoria ex art. 1218 c.c.
Si osserva, in linea generale, che il contratto preliminare ex art. 1351 c.c. è l’accordo mediante il quale le parti si obbligano a stipulare un successivo contratto definitivo, a cui è rimessa la completa e definitiva regolamentazione dell’affare e del quale i contraenti hanno delineato gli elementi essenziali (cfr. Cass. n. 8810/2003). La necessaria “completezza” del preliminare quanto ai requisiti essenziali del futuro negozio non osta, dunque, a che le parti, in sede di conclusione del definitivo, assegnino al rapporto contrattuale una disciplina differente rispetto a quella prospettata nell’ambito del procedente accordo.
Per giurisprudenza consolidata, il “disallineamento” tra il regolamento contrattuale delineato con il preliminare e quello recato dal definitivo va risolto, in linea di principio, nel senso della soccombenza delle originarie pattuizioni a vantaggio di quelle successive, sempre che le parti, nello stesso contratto definitivo, ovvero in separato e contestuale accordo, non abbiano espressamente previsto la sopravvivenza dei contenuti del contratto preliminare. La soluzione esposta si fonda sulla convinzione che il contratto definitivo costituisca l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina, con riguardo alle modalità e condizioni, anche se diversa da quella pattuita con il preliminare, configura un nuovo accordo intervenuto tra le parti e si presume sia l’unica regolamentazione del rapporto da esse voluta (tra le tante, Cass. n. 30735/2017; Cass. n. 12090/2024).
La Suprema Corte, con la citata decisione n. 24465/2025 ha ridimensionato la portata applicativa del principio di diritto sopra esposto, affermando che lo stesso non può essere invocato allo scopo di sostenere l’intervenuta soppressione di obblighi preliminari funzionali al contratto definitivo.
In particolare, nel caso di specie, veniva in rilievo un preliminare di permuta immobiliare in forza del quale la società Alfa si impegnava a demolire e ricostruire un fabbricato per realizzare un complesso residenziale, mentre i proprietari del fabbricato si impegnavano a permutare la loro proprietà con porzioni dell’immobile ricostruito. Al contratto preliminare accedevano, inoltre, gli obblighi della società costruttrice di ottenere, entro un certo termine, il rilascio del permesso di costruire e, conseguentemente, di intimare la disdetta del contratto di locazione non abitativa, in corso tra i proprietari e un soggetto terzo.
Le parti, nonostante l’intervenuto rilascio del permesso di costruire oltre il termine indicato nel preliminare, addivenivano alla stipula dell’atto definitivo di permuta avente ad oggetto il trasferimento della proprietà dell’immobile alla società Alfa, a fronte dell’impegno di quest’ultima di trasferire porzioni del fabbricato ricostruito a ciascuno dei proprietari, entro e non oltre i successivi trenta mesi, con la previsione di una penale per ogni mese di ritardo e la prestazione di garanzie fideiussorie bancarie. Il contratto definitivo dava anche conto dell’intervenuto invio delle disdette del contratto di locazione ad opera degli stessi proprietari.
L’efficacia di tali disdette veniva, tuttavia, contestata, con conseguente rinnovo automatico della locazione per altri sei anni e impossibilità di demolire l’immobile, in ragione del tardivo adempimento dell’obbligo della costruttrice di ottenere il rilascio del permesso di costruire; inadempimento, questo, da cui scaturiva l’impossibilità di intimare nei termini di legge una disdetta motivata ai sensi dell’art. 29 della L. 392/78.
A detta della costruttrice, la clausola del contratto definitivo concernente l’intervenuta comunicazione delle disdette ad opera dei proprietari era indicativa della volontà degli stessi di assumere su di sé l’obbligo di intimazione, con superamento delle difformi pattuizioni contenute nel contratto preliminare. La fondatezza di una simile ricostruzione, già esclusa dai giudici di merito, è stata, da ultimo, ulteriormente negata dalla Cassazione sul rilievo per cui il regolamento negoziale contenuto nel contratto definitivo non travolge gli obblighi preliminari la cui corretta e tempestiva esecuzione costituisce condizione imprescindibile per la realizzazione dell’intera operazione economica voluta dalle parti.
Conseguentemente, la Suprema Corte si è espressa nel senso della sopravvivenza dell’obbligo di intimare la disdetta posto a carico della costruttrice dal contratto preliminare, quale regola (non più di condotta, bensì) di imputazione della responsabilità per il relativo inadempimento.
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