Riapre il circo delle finte liberalizzazioni
Era nell’aria e, non a caso, avevamo già iniziato a drizzare le antenne (si veda il precedente editoriale, “Più evasione con omonimie tra commercialisti? Per favore: pietà” del 25 giugno), ma nemmeno nelle nostre digestioni più faticose e sofferte eravamo riusciti a immaginare qualcosa di simile a ciò che qualche penna è riuscita partorire in materia di liberalizzazioni, in vista del Consiglio dei Ministri previsto per domani.
Il fatto che l’intera rubrica “liberalizzazioni e sviluppo” della bozza di decreto sia dedicata alla liberalizzazione delle professioni è il meno. O meglio, è comico e drammatico al tempo stesso, ma è niente a confronto del modo in cui il tema viene poi sviluppato, per pressapochismo tecnico e disinvoltura politica.
Il pressapochismo tecnico è riconducibile all’evidente stato confusionale rispetto a concetti quali “impresa”, “libera professione” e “attività”.
Per non parlare del fatto che, nel prevedere l’elenco delle professioni escluse dalla mannaia “liberalizzatrice”, ci si preoccupa ad esempio di inserire gli autotrasportatori (non è un refuso di stampa, non in questo editoriale almeno) e ci si dimentica, non dico dei commercialisti (di cui ovviamente ci si è dimenticati), ma dei medici.
Per la cronaca, l’elenco delle professioni escluse dall’abrogazione delle restrizioni, in materia di accesso ed esercizio, è composto, oltre che dai già citati autotrasportatori, dagli architetti, dagli ingegneri, dagli avvocati, dai notai e dai farmacisti (si veda “Via le restrizioni per l’accesso alle professioni” di oggi).
Ed è proprio qui che scatta la disinvoltura politica, perché le restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni che la mannaia “liberalizzatrice” (mai virgolette furono più appropriate) intenderebbe abrogare sono anzitutto quelle concernenti la limitazione nel numero dei soggetti che possono svolgere la professione e l’imposizione di distanze minime tra le localizzazioni delle sedi deputate all’esercizio della professione.
Se da queste “liberalizzazioni” vengono tenuti espressamente fuori notai e farmacisti, qualcuno è in grado di spiegare, a chi sa davvero di cosa stiamo parlando, di che cosa si sta appunto parlando?
Probabilmente dei taxisti, perché in questa allucinante commistione tra “libere professioni intellettuali” e “professioni”, intese nel senso atecnico di qualsivoglia attività esercitata in modo abituale, possono ovviamente rientrare anch’essi.
Sembra veramente la commedia dell’arte, tutta giocata su equivoci e cose dette senza dirle, per cercare di buggerare lo sprovveduto di turno.
Alla fine, il grande risultato che si ottiene è quello di rimettere ad appositi regolamenti ministeriali l’individuazione delle professioni (?) per le quali, nonostante la mancata inclusione nel prestigioso elenco, sarà possibile confermare l’attuale assetto normativo. Per gli altri, invece, fine della giostra, anche se è difficile capire esattamente in cosa ciò si possa tradurre per le “professioni” intese non in senso atecnico, ma nel senso di “libere professioni intellettuali”, per il cui accesso è la Costituzione stessa, all’articolo 33, a prevedere il superamento di un esame di Stato.
Così infatti recita un passaggio della bozza di decreto: “l’obbligo di autorizzazione preventiva per l’esercizio di professioni diverse da quelle di cui all’articolo 2, comma 1 [autotrasportatori & co., ndR], in cui la concessione di tale autorizzazione dipende dalla presenza di presupposti giuridici che l’amministrazione ha il dovere di stabilire in modo obiettivo, è abrogato quattro mesi dopo l’entrata in vigore del presente decreto; fatto salvo quanto disposto dal comma 2 [salvezza ad ordinem con decreto ministeriale, ndR], la professione può pertanto essere liberamente esercitata allo scadere di un periodo di tre mesi dalla data di comunicazione di inizio dell’attività professionale, accompagnata dalla documentazione attestante la conformità dell’attività con le correnti disposizioni normative. L’autorità può vietare l’esercizio della professione, entro tre mesi dal ricevimento della comunicazioni, se i presupposti legali non sono soddisfatti o se sulla base delle informazioni presentate non sembrano essere soddisfatti”.
Il punto qui non è tanto quello che può accadere a questo o a quell’Ordine professionale, a cominciare da quello dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, seppure è evidente che chi vi appartiene guardi con comprensibile smarrimento simili “sbozzamenti” ministeriali.
Il punto è capire a che livello di improvvisazione politica e contorsionismi tecnici siamo arrivati. Perché, bozza o non bozza, stiamo pur sempre parlando di un testo reso pubblico in funzione del fatto che deve essere portato in Consiglio dei Ministri della Repubblica per l’approvazione, non in un’osteria per una chiacchierata informale e un brindisi.
L’unica speranza è che il livello qualitativo nell’azione di governo e nella capacità di interlocuzione da parte delle opposizioni sia così sconcertante soltanto in quelle materie su cui, fatalità, siamo in grado di esprimere delle valutazioni di merito con cognizione di causa; mentre, in altri settori, quali ad esempio quello della sanità pubblica, dei rifiuti e quant’altro, dove non possiamo avere un’opinione più circostanziata di quella del cittadino medio, sia ben altro lo spessore tecnico e la linearità d’azione politica.
Altrimenti, siamo belli che finiti.
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