Quando è arrogante, il potere impositivo è odioso tanto quanto l’evasione fiscale
Caro Direttore,
le riflessioni relative al “blitz” di Cortina, e aspettiamoci purtroppo chissà quanti altri momenti turistico-fiscali, meritano ogni attenzione e mi permetto di aggiungere alle tue sette considerazioni (si veda “Sette riflessioni per andare «oltre Cortina»” del 10 gennaio 2012), un’ottava, generale: abbassiamo i toni.
Luigi Einaudi, tanti anni fa, prima anche della riforma Vanoni, scriveva un saggio, “Miti e paradossi della giustizia tributaria”, che nel titolo contiene già una serie di sottolineature: la “giustizia” tributaria non sarà mai vera ed accettabile dalla generalità perché la condizione individuale fa percepire in modo difforme ogni situazione.
L’onere fiscale non può essere gradito a nessuno, ma al limite accettato con rassegnazione e con il sentimento di compiere un dovere civico; è naturale istinto di sopravvivenza reagire alle pretese ingiustificate dell’Agenzia e la percentuale di vittorie del contribuente nelle controversie tributarie, che sfora il 40%, dimostra che quasi una volta su due il reclamo è fondato.
La caccia all’evasore fiscale è doverosa, ma quando l’evasore è stato individuato e stanato e non già sulla base di una generalizzazione populista.
Anche il Direttore Befera sembra dimenticare che in Italia esiste una grande varietà di redditi, anche di rilevante consistenza, soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (e quindi una volta assolta la ritenuta, tali redditi permettono di mantenere un tenore di vita magari elevato senza dover presentare la dichiarazione).
Se l’evasione fiscale è odiosa, perché rappresenta una sorta di violenza economica nei confronti della società, altrettanto odiosa è l’arroganza del potere impositivo, che provoca poi manifestazioni sconsiderate; ma perché, se debbo somme all’Erario, queste devono essere versate in termini tassativi e se vinco un ricorso con il relativo rimborso possono passare anni per ottenere il dovuto?
Una norma di civiltà vorrebbe che vi fosse un maggior rispetto reciproco, con toni sommessi e sospensione dei giudizi sommari fino alla conclusione delle vertenze; noi dottori commercialisti siamo certamente favorevoli a questo comportamento e vorremmo reciprocità, proprio nell’intento di migliorare la convivenza anche tributaria.
Naturalmente, questo vuol dire che continuerò a difendere i contribuenti davanti alle pretese fiscali che appaiono errate o pretestuose, ma senza menare vanto in caso di successo o proclami tribunizi preventivi, come vorremmo facesse la controparte.
Alberto Arrigoni
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano
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