Stock options escluse dal regime degli impatriati se erogate al non residente
Secondo l’Agenzia delle Entrate ciò vale anche se i redditi sono riferiti a prestazioni svolte in Italia
Con la risposta a interpello n. 274 pubblicata ieri, l’Agenzia delle Entrate è tornata sulle modalità di imposizione delle somme percepite a titolo di retribuzione differita, esaminandone altresì il rapporto con il “vecchio” regime degli impatriati di cui all’art. 16 del DLgs. 147/2015.
Secondo la risposta, non possono beneficiare delle agevolazioni le RSU e gli altri incentivi in natura maturati nel periodo in cui la persona era residente in Italia e lavorava in Italia, ma attribuiti in un’annualità successiva, in cui il lavoratore è emigrato all’estero e ha assunto la residenza dell’altro Stato.
Il caso prospettato all’Agenzia riguardava tre dipendenti di una società italiana che avevano fruito, dal 2021 al 2024, del regime degli impatriati di cui all’art. 16 del DLgs. 147/2015 in relazione ai redditi di lavoro dipendente erogati in denaro. Ai medesimi dipendenti, la società aveva attribuito i seguenti redditi derivanti da piani di incentivazione azionaria (stock options e strumenti similari):
- Long Term Incentive Plan (LTIP), assegnato nel 2022 con maturazione prevista nel 2025;
- Deferred Bonus Plan, assegnato nel 2023 con maturazione prevista nel 2025.
Nel corso del 2024, i lavoratori avevano cessato il rapporto di lavoro con la società italiana per poi trasferire la residenza fiscale in Grecia.
La questione esaminata, come detto, riguarda la possibilità di applicare le ritenute ridotte in virtù del regime agevolato anche in relazione a tali redditi di lavoro dipendente (vi rientrano infatti i compensi in natura, tra i quali vanno annoverate le assegnazioni di titoli e diritti), percepiti da soggetti divenuti non residenti ma riferite ad attività di lavoro dipendente prestata in Italia.
L’Agenzia delle Entrate ha innanzitutto richiamato i criteri interni (art. 23 comma 1 lettera c) del TUIR) e convenzionali (art. 15 par. 1 della Convenzione Italia-Grecia) che assicurano all’Italia il diritto di assoggettare a tassazione tali emolumenti in capo al non residente, trattandosi di elementi di retribuzione differita riferibili ad attività lavorativa svolta nel territorio dello Stato; il collegamento con l’Italia deve infatti essere valutato con riferimento al vesting period (ossia, al periodo di maturazione del diritto) e non con riferimento al periodo di percezione dei redditi (periodo in cui le persone erano divenute residenti all’estero), il quale rappresenta invece il periodo in cui tali redditi sono materialmente assoggettati a imposizione.
Questa impostazione risulta in linea con i chiarimenti forniti dall’Agenzia in relazione ai c.d. bonus obiettivi.
Con risposta a interpello n. 126/2023, in particolare, l’Amministrazione finanziaria aveva precisato che tali compensi sono imponibili in Italia (in via esclusiva) per la quota parte riferita alla prestazione svolta in Italia e la persona era ivi residente, e nell’altro Stato (sempre in via esclusiva) per la quota parte del reddito riferita alla prestazione svolta in tale Stato, del quale la persona aveva assunto la residenza; ciò a prescindere dalla residenza del soggetto che paga gli emolumenti (diversamente dal TFR e da altre indennità similari, per i quali il criterio di territorialità interno è rappresentato dalla residenza dell’erogante, per la generalità degli altri redditi di lavoro dipendente esso si rinviene nel luogo di svolgimento della prestazione).
Date queste premesse logiche, la risposta n. 274/2025 ha ritenuto di negare i benefici del regime degli impatriati richiamando un passaggio della circ. Agenzia delle Entrate n. 33/2020 (§ 7.9) in cui si esclude la fruizione del regime in relazione a un bonus maturato nell’ultimo anno della sua applicazione, ma percepito in annualità successive. Il diniego era basato sull’assunto per cui il suddetto bonus era erogato in un periodo di imposta in cui l’impatriato era fuoriuscito, per decorso del quinquennio, dal regime agevolativo.
Si tratterebbe, ad avviso dell’Amministrazione finanziaria, di una situazione sovrapponibile a quella in esame, la quale giustificherebbe l’impossibilità di fruire del beneficio, pur se l’attribuzione delle azioni è ricollegabile all’attività lavorativa in precedenza svolta in Italia.
Ci si può in realtà domandare se le due casistiche siano effettivamente sovrapponibili. Il caso della circ. n. 33/2020 non sembra prospettare tematiche particolari legate alla territorialità, essendo più semplicemente ricollegabile all’intervenuto decorso del quinquennio agevolato. Quello della risposta n. 274/2025, invece, si riferisce a una situazione di dipendenti fuoriusciti dal regime per il venir meno del requisito della residenza in Italia ma i cui redditi, guardando al periodo di maturazione, sarebbero stati in linea di principio agevolabili, perché riferiti ad annualità ancora ricomprese nel quinquennio; l’Agenzia, come sopra richiamato, ha tuttavia valorizzato il mero dato legato alla percezione delle somme, circostanza che ha deposto per il diniego dell’agevolazione per i compensi in esame.
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