La contestazione dei crediti inesistenti utilizzati in compensazione non esclude il reato
La Cassazione, nella sentenza n. 24941, depositata ieri, ha stabilito che, a fronte dell’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti (verso l’INPS) per estinguere obbligazioni relative a contributi previdenziali, la successiva contestazione da parte dell’Istituto circa l’esistenza dei crediti stessi e la stipulazione di un piano di ammortamento rateale per il versamento di quanto dovuto non incidono sulla integrazione del reato di cui all’art. 10-quater del DLgs. 74/2000 e sulla quantificazione del profitto conseguito.
Il delitto di indebita compensazione, infatti, si consuma al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi; ciò in quanto con l’utilizzo del modello indicato si perfeziona la condotta decettiva del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell’indebita compensazione di crediti. Il profitto del reato, corrispondente alla somma non versata in conseguenza della condotta decettiva, va, quindi, calcolato avuto riguardo al momento in cui tale somma avrebbe dovuto essere versata, non rilevando le vicende successive alla consumazione del reato.
Il versamento postumo delle somme non pagate può determinare, semmai, una riduzione della somma da confiscare; e certamente comporta la sterilizzazione dell’operatività della confisca se il contribuente si impegna al versamento del dovuto nei termini riconosciuti e ammessi dalla legislazione tributaria di settore, con conseguente esclusione di una duplicazione sanzionatoria.
In particolare, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, il sequestro preventivo non può essere mantenuto sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, ma deve essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione, poiché, altrimenti, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa.
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