In presenza di segnali d’allarme, perdono i compensi i sindaci che si limitano a meri solleciti
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4617, depositata ieri, amplia il già lungo elenco di rigetti di opposizioni allo stato passivo presentate da sindaci di società fallite che provano a recuperare i crediti maturati per lo svolgimento della propria attività.
In questa decisione, in particolare, la Suprema Corte sottolinea come debba ritenersi corretto il provvedimento di rigetto del competente Tribunale fondato sui seguenti rilievi:
- la strutturale inadeguatezza dell’assetto amministrativo, l’esasperata conflittualità della compagine sociale, l’atteggiamento ostruzionistico del socio di minoranza (con il conseguente venir meno di alcune concrete proposte di terzi investitori) e la non concessione di finanziamenti bancari funzionali ad alcuni investimenti rappresentano circostanze che evidenziano, in modo univoco, la irrealizzabilità di una proficua soluzione della crisi della società, a fronte dei quali i sindaci dovrebbero attivare gli strumenti a loro disposizione, ben più incisivi di meri solleciti;
- l’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2407 comma 2 c.c. non richiede l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, essendo sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione, o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti ai sensi dell’art. 2409 c.c.
Vietata ogni riproduzione ed estrazione ex art. 70-quater della L. 633/41