Tutela reintegratoria anche in caso di licenziamento economico
Con l’ordinanza n. 6221 del 9 marzo 2025, la Suprema Corte ha avuto modo di pronunciarsi in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con particolare riferimento alla tutela prevista in caso di insussistenza del fatto che giustifica il recesso datoriale.
Nel caso di specie, una lavoratrice ricorreva in Cassazione censurando, tra le altre cose, il regime sanzionatorio, di tipo indennitario, applicato ratione temporis dai giudici di merito, in seguito alla mancata dimostrazione, da parte del datore di lavoro, del giustificato motivo oggettivo di licenziamento e, in particolare, della effettiva sussistenza di una “riorganizzazione aziendale finalizzata ad ottenere una maggiore efficienza ed economicità di gestione”.
Occorre, in prima battuta, ricordare che la Consulta è recentemente intervenuta sulla disciplina del contratto a tutele crescenti per mezzo della sentenza n. 128 del 16 luglio 2024, con la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 comma 2 del DLgs. 23/2015, nella parte in cui non prevede che si applichi la tutela reintegratoria anche alle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in cui sia dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro (si veda “La Consulta riscrive la disciplina dei licenziamenti nel contratto a tutele crescenti” del 17 luglio 2024).
Alla luce di questa pronuncia, i giudici di legittimità evidenziano come, in forza dell’art. 136 Cost., la declaratoria di incostituzionalità di una norma determini la cessazione di efficacia di quest’ultima, a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione nonché come, nel caso di specie, la lavoratrice avesse impugnato proprio il profilo della corretta applicazione del regime sanzionatorio conseguente all’accertata insussistenza della ragione organizzativa posta alla base del licenziamento.
In forza di tali assunti, la Suprema Corte accoglie il ricorso della lavoratrice, rinviando la sentenza al giudice di merito per l’applicazione dell’art. 3 comma 2 del DLgs. 23/2015, così come risultante a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 128/2024.
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