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Giovedì, 14 agosto 2025 - Aggiornato alle 6.00

IMPRESA

Legittimo non dismettere asset non strategici nel concordato preventivo

Nessuna lesione per i diritti dei creditori al ricorrere di precise condizioni

/ Antonio NICOTRA e Marco PEZZETTA

Giovedì, 14 agosto 2025

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Il Tribunale di Roma 22 aprile 2025 ha esaminato il caso di un concordato preventivo che prevedeva la soddisfazione dei creditori mediante i flussi della continuità aziendale diretta e la dismissione di alcuni, ma non tutti, asset non strategici.
La proposta concordataria, nel caso di specie, contemplava espressamente che uno di tali asset (un immobile di notevole valore) permanesse nel patrimonio dell’impresa in concordato giacché capace, nell’arco di piano, di generare flussi finanziari da locazione messi a servizio della promessa concordataria.

Il tema che si pone è se tale eccezione (la mancata cessione di un bene non indispensabile alla continuità aziendale e di valore tale che la sua realizzazione avrebbe comportato un aumento non marginale dell’attivo concordatario) renda la proposta inammissibile, ovvero se tale circostanza debba essere (meramente) rimessa alla valutazione dei creditori.
La questione si pone perché, nel concordato preventivo, trova applicazione la disciplina di cui all’art. 2740 c.c., secondo cui il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, essendo ammesse limitazioni solo nei casi stabiliti dalla legge: la manifesta impossibilità di adempiere alle obbligazioni fa discendere l’obbligo del debitore di destinare tutto il suo patrimonio alla soddisfazione dei creditori in concorso fra loro.

Una proposta concordataria che preveda il mantenimento di una parte di attivo in capo all’impresa debitrice finirebbe quindi per essere in contrasto con l’art. 2740 c.c. giacché renderebbe legittima la “sottrazione” di tale attivo ai creditori i quali, d’altro canto, avendo accettato la proposta contrattuale consentono l’esdebitazione della stessa debitrice per la parte di debiti che rimangono impagati.

Tale principio trova alcune eccezioni previste dalla legge. Una di queste, rilevante per il caso in esame, è prevista dall’art. 84 comma 2 del DLgs. 14/2019 (CCII) che, appunto, legittima la possibilità per l’impresa di mantenere la proprietà dell’azienda per soddisfare la proposta concordataria mediante i flussi derivanti dalla continuità diretta.
Un concordato può essere definito in continuità, peraltro, anche se prevede la dismissione di asset, purché i beni non liquidati siano idonei a configurare un complesso aziendale capace di dare continuità, almeno in parte, alla pregressa attività di impresa (Cass. n. 348/2025).

Va rilevato, inoltre, il disposto dell’art. 64-bis del CCII, in materia di piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO), che prevede espressamente la possibilità di derogare con tale strumento di regolazione della crisi agli artt. 2740 e 2741 c.c.
Da ciò, i giudici romani appropriatamente desumono che il legislatore avrebbe avvertito l’esigenza di introdurre la disposizione citata proprio perché le norme del codice civile avrebbero solo carattere generale e, “diversamente, opererebbero... in tutte le procedure concorsuali”.

Mantenimento dell’asset con duplice condizione

Alla luce del quadro interpretativo così sintetizzato, il mantenimento di un asset nel patrimonio del debitore non viola i principi di legge solo se vengono rispettate due condizioni.
In primo luogo, l’asset deve generare flussi finanziari almeno pari al controvalore che verrebbe realizzato dalla sua cessione. Si ottiene, così, una sorta di “sostituzione per equivalente”, in quanto l’art. 2740 c.c. viene rispettato dalla somma dei frutti che l’asset è in grado di generare.
Tale conclusione, si osserva, appare coerente con i principi della finanza in ragione dei quali, semplificando, il valore di mercato di un asset altro non è che il valore attuale dei flussi finanziari futuri.

La seconda condizione è che, anche in ragione della prima, il mantenimento del bene nella proprietà del debitore sia necessaria per il rispetto della proposta concordataria che preveda una soddisfazione dei creditori superiore a quella che essi avrebbero dalla liquidazione giudiziale.
In sostanza, il bene in parola, anche se funzionalmente non strategico, assume una natura assimilabile a quella degli asset della azienda in continuità, in quanto funzionale al perseguimento degli scopi concordatari.

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