La sospensione della sentenza incide sulla competenza
Ad avviso della Suprema Corte, la sospensione preclude il conseguimento della sopravvenienza
Con l’ordinanza n. 11917, depositata il 6 maggio 2025, la Cassazione è tornata ad occuparsi dell’imputazione temporale, nell’ambito del reddito d’impresa, dei componenti di reddito relativi a controversie, affrontando per la prima volta, a quanto ci consta, il caso in cui l’efficacia esecutiva della sentenza del giudice sia stata sospesa.
Il caso di specie attiene, in particolare, al venir meno di un debito per interessi che gravava sulla società contribuente in forza di un contratto di conto corrente bancario.
La società aveva agito in giudizio per ottenere l’accertamento negativo di tale debito, deducendo la natura anatocistica della clausola sul saggio di interesse, e la conseguente condanna della banca alla restituzione delle somme indebitamente percepite.
All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Lecce, con sentenza di ottobre 2006, aveva accolto la domanda. La banca aveva, quindi, provveduto ad alcuni pagamenti parziali fra ottobre 2006 e febbraio 2007, ma aveva nel frattempo appellato la sentenza, ottenendone la parziale sospensione con riduzione dell’efficacia esecutiva.
Il giudizio di appello si era poi concluso con integrale conferma della decisione di primo grado con sentenza della Corte territoriale di Lecce depositata a giugno 2009 e divenuta definitiva nel 2010 per mancata impugnazione.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, la sopravvenienza attiva rilevata a fronte del credito riconosciuto in giudizio avrebbe dovuto essere imputata al 2009 (oggetto di accertamento e – lo si evidenzia - precedente all’introduzione del principio di derivazione rafforzata per i soggetti che redigono il bilancio in base alle disposizioni del codice civile), anno in cui la sentenza d’appello era stata depositata. La C.T. Reg. aveva, invece, ritenuto che tale componente andasse imputata al 2010, poiché in tale anno si era formato il giudicato sulla sentenza della Corte d’Appello che aveva affermato il credito restitutorio.
La Suprema Corte ha osservato che, in ossequio all’orientamento consolidato in base al quale una sopravvenienza attiva deve essere assoggettata a imposizione con riferimento all’esercizio in cui la posta attiva acquista certezza (fra le altre, Cass. nn. 3901/2023, 24580/2022 e 1508/2020), laddove la sopravvenienza consista nel venir meno di un costo già contabilmente rappresentato, rileva il momento in cui si è acquisita la giuridica certezza dell’inesistenza della posta passiva, vale a dire quello in cui “si è verificato il fatto di gestione che ha prodotto il venir meno” della stessa (Cass. n. 20608/2023).
Su tali basi, nelle ipotesi in cui la sopravvenienza attiva discende dal riconoscimento giudiziale di un credito (o dal disconoscimento di un debito preesistente, come nella specie), occorre avere riguardo al deposito del provvedimento, momento che integra i requisiti di “certezza” nell’esistenza e “obiettiva determinabilità” stabiliti dall’art. 109 comma 1 del TUIR ai fini dell’imputabilità a reddito di una componente positiva.
La venuta a esistenza del credito si determina, quindi, per effetto del formarsi del titolo giudiziale, che contiene anche la sua liquidazione.
Peraltro, secondo la Cassazione, non pare debba attribuirsi efficacia incisiva alla circostanza del passaggio in giudicato della sentenza (come, invece, potrebbe dedursi dalla Cass. n. 23225/2016 in tema di compensazione), né, in senso contrario, al fatto che l’eventuale prosieguo del contenzioso possa condurre a un diverso risultato, poiché un’eventuale modifica della decisione nei successivi gradi di giudizio realizzerebbe una sopravvenienza passiva, idonea anch’essa a concorrere alla formazione del reddito ai sensi dell’art. 101 del TUIR.
Ciò posto, la Suprema Corte ha evidenziato che vi sono casi (tra cui, ad esempio, il rimborso di imposte; Cass. n. 13948/2008), nei quali la venuta a esistenza della sopravvenienza attiva, ancorché certa e determinata nel suo ammontare, non coincide con il suo conseguimento da parte del contribuente.
Nel caso in esame, relativo al riconoscimento di un credito con sentenza, laddove l’efficacia esecutiva della sentenza sia sospesa nelle more del giudizio di appello o di quello per Cassazione (ricorrendone i presupposti di legge), la sopravvenienza attiva non potrebbe certamente ritenersi conseguita nell’esercizio corrispondente, se coperto dagli effetti del provvedimento di sospensione.
A tale aspetto deve, secondo i giudici di legittimità, essere attribuita rilevanza ai fini dell’imputazione a reddito della sopravvenienza attiva.
La Cassazione ha, quindi, stabilito che, in tema di imposte sui redditi, le sopravvenienze attive che derivano dal riconoscimento di un credito – o dal disconoscimento di un debito preesistente – in sede giudiziale devono essere dichiarate nell’anno di imposta in cui la sentenza che afferma il credito o disconosce il debito è stata depositata, che costituisce il momento nel quale la posta attiva diviene certa nella sua esistenza e obiettivamente determinabile, ai sensi dell’art. 109 del TUIR.
Occorre tuttavia, al contempo, che l’efficacia esecutiva della sentenza non sia stata nel frattempo sospesa, sì da consentire, quantomeno in via potenziale, l’effettivo conseguimento della posta nel reddito del contribuente.
Si desume, quindi, che, nel caso di specie, la sopravvenienza avrebbe dovuto essere imputata al 2009, in quanto l’efficacia esecutiva della sentenza del Tribunale del 2006 era stata sospesa.
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