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EDITORIALE

Dal Nordest spirano venti di sciopero fiscale

/ Enrico ZANETTI

Giovedì, 22 settembre 2011

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Una ricerca curata in questi giorni da Demos per il Gazzettino, nell’ambito dell’Osservatorio Nordest, evidenzia come per il 57% degli intervistati sarebbe opportuno dare vita a uno sciopero fiscale, a fronte della sempre più elevata pressione fiscale che viene scaricata sul cittadino.

Dalle statistiche emerge anche che, verso chi evade, prevalgono i sentimenti di rabbia e disprezzo.
Non si è dunque di fronte a una sorta di legittimazione della figura dell’evasore.
Tutt’altro: l’idea dell’evasore quale parassita della società è ben radicata anche nella maggiorparte di quei 6 cittadini triveneti su 10 che invocano lo sciopero fiscale.
Si tratta però di un approccio che evidenzia pari rabbia e disprezzo verso una situazione ritenuta evidentemente intollerabile e verso uno Stato ritenuto evidentemente colpevole di alimentarla.

Se si considera che gran parte degli aggravi di tassazione è ancora sulla carta (come del resto lo sbandierato raggiungimento dell’obiettivo del pareggio di bilancio) e che inciderà concretamente sulla pelle dei cittadini solo a partire dal 2012 e, in modo ancor più virulento, dal 2013, è oggettivamente preoccupante constatare che vi sia già oggi un comune sentire così diffuso.

Ciò che però è più sorprendente è la notevole trasversalità di questo sentire, sia dal punto di vista categoriale che dell’appartenenza politica.
Sotto il primo profilo, le categorie più determinate risulterebbero essere gli operai e i disoccupati.
Sotto il secondo profilo, la legittimazione ideologica dello sciopero fiscale vedrebbe convergere, tra gli altri, il 70% degli elettori di FLI, il 67% degli elettori della Lega Nord, il 66% degli elettori del PD e il 61% degli elettori del Movimento 5 stelle di Beppe Grillo.

Su tematiche di questo tipo, il Nordest si è sempre dimostrato in passato anticipatore di tendenze poi ampliatesi al resto del territorio nazionale, e proprio per questo gli esiti della ricerca meritano doppia attenzione e considerazione.
La crescente diffusione di questo comune sentire non deve assolutamente far recedere da una convinta adesione di tutte le componenti sane della società civile al dibattito finalizzato a trovare i modi più efficaci per debellare la piaga dell’evasione fiscale, ma rende ancor più di prima indispensabile contestualizzare ogni ragionamento nell’ambito di un rinnovamento etico che non può certo esaurirsi a quest’unico aspetto.

Altrimenti, più che finire con il fare politica da un punto di osservazione che dovrebbe invece essere tecnico, il rischio è quello di finire per dimostrarsi tecnici completamente slegati dalla realtà, almeno quanto si dimostra tale una buona fetta di quella politica da cui ci si vorrebbe, invece, differenziare per approccio.

Cala la fiducia nei confronti di chi deve amministrare il gettito

Infatti, per quanto alta possa essere la pressione fiscale, un così diffuso convincimento dell’opportunità di smettere di fare il proprio dovere di contribuente trova sempre le proprie radici anche in altri fattori, quali, in primis, la mancanza di fiducia sul fatto che il rispetto della propria parte di patto fiscale trovi pari rispetto dei propri doveri in chi è deputato ad amministrare il gettito.

Tanto per fare un esempio: frenare anziché spingere ancora su norme molto più draconiane di quelle attuali in materia di tracciabilità finanziaria sarebbe contrario a un serio impegno contro l’evasione; farlo, dimenticando a ogni occasione di chiedere una parallela crescita nella trasparenza dei comportamenti, anche privati, di chi si occupa di politica e denaro pubblico sarebbe oggi, però, talmente stridente da risultare alla fine controproducente, sia per chi lo enuncia, sia per la lotta all’evasione in se stessa.

Crescono le similitudini con il biennio 1992-1993: non è questione di frementi auspici, ma di algide analisi, peraltro banali arrivati a questo punto.
Resta da capire se il momento di forte discontinuità politica in arrivo sarà questa volta gestito dalla politica stessa, oppure se bisognerà di nuovo assistere a un sistema che frana, non tanto perché si moltiplicano i casi giudiziari che riguardano i politici, quanto piuttosto perché si assottiglia il numero di cittadini disposti a considerarli non rilevanti politicamente.
Il modo in cui si sta sviluppando la dialettica all’interno dei vari partiti, scambiando in molti casi la caratteristica canina della fedeltà con la virtù umana della lealtà, rende però difficile essere ottimisti.

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