Per escludere le frodi IVA non sono necessarie verifiche complesse
Con la sentenza n. 14102 depositata ieri, la Cassazione ha espresso un principio di diritto in merito all’assolvimento dell’onere della prova della conoscenza o conoscibilità di una frode IVA consumata “a monte” nella catena commerciale.
Secondo la Corte, l’onere della prova della conoscenza o conoscibilità di una frode IVA, in capo all’operatore professionale, richiede la massima diligenza che sia esigibile da tale soggetto. Tuttavia, “le cautele che si richiede che il cessionario sia tenuto ragionevolmente ad adottare, perché si escluda il suo coinvolgimento, anche solo per colpevole ignoranza, nella frode commessa a monte, non possono attingere a verifiche complesse e approfondite, analoghe a quelle che l’amministrazione finanziaria avrebbe i mezzi per effettuare”.
Il principio di diritto, formulato ieri dalla Cassazione, trova fondamento nella più recente giurisprudenza comunitaria. In tale sede, è stato affermato che la diligenza dovuta dal soggetto passivo e le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che, con il suo acquisto, non possa essere consapevole di un’evasione IVA commessa da un operatore a monte, “dipendono dalle circostanze del caso di specie e, in particolare, dalla questione se esistano o meno indizi che consentano al soggetto passivo, al momento dell’acquisto da lui effettuato, di sospettare l’esistenza di irregolarità o di una frode” (Corte di Giustizia Ue 11 gennaio 2024, causa C-537/22).
La giurisprudenza dell’Ue ha, altresì, sancito che – come ripreso ieri dalla Cassazione – “non si può esigere dal contribuente che esso proceda a verifiche complesse e approfondite, come quelle che l’amministrazione tributaria ha i mezzi per effettuare” (Corte di Giustizia Ue 1° dicembre 2022, causa C-512/21 e 9 gennaio 2023, causa C-289/22).