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Spese accessorie relative alla vendita del bene da non includere nel calcolo del margine

/ REDAZIONE

Venerdì, 18 luglio 2025

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Ai fini del regime IVA del margine di cui all’art. 36 del DL 41/95, non vanno computate in aumento del prezzo di acquisto, quale valore da portare in diminuzione per il calcolo del margine, le spese accessorie relative alla vendita dei beni, che soggiacciono al regime ordinario IVA. È questo, in sostanza, il principio enunciato dalla Cassazione n. 19725/2025.

Si ricorda che nell’ambito del regime speciale in parola, riservato alla rivendita di beni usati e di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione, l’IVA viene calcolata non secondo lo schema “imposta da imposta” (e quindi mediante il meccanismo “detrazione-rivalsa”), ma secondo il sistema “base da base”. In particolare, ai sensi del citato art. 36 del DL 41/95, la base imponibile da cui scorporare l’imposta è costituita dal c.d. “margine di utile”, calcolato come differenza tra il prezzo di vendita del bene (ossia il prezzo dovuto dal cessionario) e il prezzo di acquisto del bene medesimo, comprensivo delle eventuali spese di riparazione e accessorie.

Secondo quanto già chiarito con C.M. n. 177/95, per “spese di riparazione e accessorie” devono intendersi i costi sostenuti dal rivenditore che hanno una specifica inerenza o alla fase di acquisizione del bene o a quella di riattazione dello stesso (es. oneri tributari, costi peritali, notarili, di agenzia, spese di trasporto), mentre restano escluse le spese afferenti la vendita del bene e le spese generali di amministrazione e utenze.

Nel caso specifico, dunque, la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando l’erroneità del comportamento tenuto da una società che, nell’applicare il metodo globale di calcolo del margine, aveva computato in diminuzione della base imponibile le spese relative alla fase di vendita dei beni.

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