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FISCO

Non dovuta l’IVA richiesta in eccesso a consumatori finali

L’assunto non vale se il cliente è un soggetto passivo che non può detrarre l’imposta

/ Luca BILANCINI

Sabato, 2 agosto 2025

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L’IVA richiesta in eccesso a un consumatore finale non è dovuta dal cedente o prestatore, non verificandosi il rischio di perdita del gettito fiscale.
Va tuttavia considerato che possono essere qualificate come “consumatori finali” unicamente le persone “che non sono soggetti passivi”. Non rientrano in tale nozione i soggetti passivi che, in una determinata circostanza, non possono esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta.
Sono questi due dei principi statuiti dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella sentenza depositata ieri, 1° agosto 2025, e relativa alla causa C-794/23.

Il caso riguarda una società di diritto austriaco che gestisce un parco giochi e che ha assoggettato i biglietti di ingresso a un’aliquota IVA superiore a quella, ridotta, prevista per tale tipologia di operazione (20% in luogo del 13%).
A fronte del pagamento venivano rilasciate ai clienti “ricevute del registratore di cassa” che, dato il loro modico valore, “erano emesse secondo le regole di fatturazione semplificata”.

La legislazione vigente in Austria prevede che nell’ipotesi in cui l’importo non superi il valore di 400 euro, conformemente agli articoli 226-ter e 238 della direttiva 2006/112/Ce, il cedente o prestatore possa limitarsi a emettere una fattura semplificata contenente i propri dati, la quantità e la descrizione dei beni ceduti o il tipo e l’entità della prestazione resa, la data dell’operazione o “il periodo di riferimento della prestazione”, l’ammontare del corrispettivo comprensivo dell’imposta e l’aliquota IVA. Secondo quanto può evincersi dalla lettura della pronuncia, in Austria non sarebbe, invece, richiesta, nel documento semplificato, l’indicazione dei dati del cessionario o committente.
In ragione della successiva adozione dell’aliquota corretta, la società austriaca rettificava la dichiarazione IVA originariamente presentata.
L’Amministrazione tributaria negava la possibilità di operare tale variazione, sostenendo, da un lato, che, vista la modalità di fatturazione scelta, non sarebbe stato possibile “modificare le fatture né trasmettere ai clienti note di credito corrispondenti alla differenza tra l’IVA all’aliquota del 20% e l’IVA all’aliquota ridotta” e, dall’altro, che la rettifica avrebbe comportato l’arricchimento senza causa del soggetto passivo.

Le conclusioni della Corte divergono da quelle del Fisco austriaco.
Vero è che l’art. 203 della direttiva 2006/112/Ce dispone che l’IVA sia dovuta “da chiunque indichi tale imposta in fattura”, anche qualora l’importo documentato non corrisponda a un’operazione reale, tuttavia la norma – che trova corrispondenza, nell’ordinamento interno, nell’art. 21 comma 7 del DPR 633/72 – va interpretata alla luce della giurisprudenza della Corte, che si è già espressa in passato sulla questione.

I giudici dell’Unione europea hanno, infatti, stabilito che la disposizione mira a eliminare il rischio di perdita del gettito fiscale; essa, pertanto, è destinata ad applicarsi laddove tale rischio sussista in ragione del fatto che “il destinatario della fattura in questione potrebbe avvalersi del proprio diritto alla detrazione” (causa C-794/23, punto 24 e causa C-378/21).
Ne consegue che il soggetto passivo che ha indicato un’imposta calcolata in base a un’aliquota errata “non è debitore della parte dell’IVA che è stata erroneamente fatturata a una persona che non è soggetto passivo”, posto che questi resterebbe comunque inciso dell’imposta.

Risulta, quindi, essenziale la valutazione del destinatario dell’operazione. In particolare, occorre comprendere se tale principio sia applicabile soltanto nel caso in cui i cessionari o committenti siano “persone che non sono soggetti passivi” o se possa essere adottato anche se i clienti sono “soggetti passivi che, in una determinata situazione, non hanno diritto di detrarre l’IVA a monte” (causa C-794/23, punto 28).
In questo senso, la Corte Ue fornisce un’interpretazione restrittiva precisando che solo i primi possono rientrare nella nozione di “consumatori finali”, dovendosi invece escludere gli operatori economici che hanno effettuato acquisti per scopi privati o per finalità che non consentono l’esercizio della detrazione IVA, posto che con riguardo a tali soggetti non si potrebbe eliminare del tutto il rischio di perdita del gettito fiscale.

I giudici stabiliscono, infine, che in un caso come quello in esame, dove non è nota l’identità dei destinatari delle fatture, l’Amministrazione tributaria può ricorrere a una stima per determinare la parte di documenti emessa nei confronti di soggetti passivi, a condizione che l’emittente possa contestare l’esattezza di tale stima, esplicitando i motivi alla base del proprio rilievo.

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