Il socio di srl, anteriormente alla scadenza del termine previsto per l’esercizio del diritto di opzione, può liberamente cederlo a terzi non soci, salvo che lo statuto detti la previsione contraria in relazione agli aumenti di capitale mediante nuovi conferimenti, ex art. 2481-bis comma 1 c.c., o limiti la circolazione delle partecipazioni sociali. È questo il principio sancito dall’ordinanza n. 9460 della Cassazione, depositata ieri. Ai sensi dell’art. 2481-bis comma 1 c.c., in caso di decisione di aumento del capitale sociale di srl mediante nuovi conferimenti spetta ai soci il diritto di sottoscriverlo in proporzione delle partecipazioni da essi possedute. L’atto costitutivo può prevedere, salvo per il caso di riduzione del capitale al di sotto del minimo legale (art. 2482-ter c.c.), che l’aumento di capitale possa essere attuato anche mediante offerta di quote di nuova emissione a terzi; in tal caso spetta ai soci che non hanno consentito alla decisione il diritto di recesso a norma dell’art. 2473 c.c. Da questo testo normativo, afferma la Suprema Corte, non è corretto desumere, facendo leva sul carattere solitamente ristretto e personalizzato della srl, che il diritto di opzione non possa essere ceduto, perché solo l’atto costitutivo può prevedere l’offerta di quote di nuova emissione a terzi. Innanzitutto, è dirimente un corretto inquadramento della questione. Nel senso che il riportato articolo del codice civile contempla una previsione statutaria attraverso la quale si sottraggono le quote di nuova emissione al diritto di opzione dei soci. Nella specie, invece, si discute circa la titolarità, in capo ai soci, di tale diritto di opzione e della relativa cedibilità. A fronte di ciò viene in rilievo, in primo luogo, il carattere personalistico della srl. Rispetto a tale profilo, i giudici di legittimità reputano preferibile l’opinione che intende tale carattere in senso debole, ovvero quale mero interesse del socio a non vedere ridotta la propria partecipazione all’interno della compagine sociale, e non in senso forte, come chiusura della società a soggetti terzi. Depone in tale direzione il fatto che le partecipazioni della srl, ex art. 2469 comma 1 c.c., sono liberamente trasferibili, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo; di regola, quindi, la srl è vista dal legislatore come un ente “aperto” all’ingresso di nuovi soci. Ed anche la disciplina del diritto di opzione intende tutelare l’interesse del socio a mantenere inalterata la propria partecipazione all’interno della società (ovvero i rapporti di forza tra i soci). Ma se questo è l’interesse tutelato dalla previsione normativa, a rilevare è, poi, la volontà del singolo socio di darvi attuazione. Nel senso che, ove tale volontà dovesse essere assente, anche per mancanza delle necessarie disponibilità economiche, allora il socio ben potrebbe privarsi del diritto di opzione, rinunciandovi o cedendolo a terzi. Peraltro, tale cedibilità del diritto di opzione non vale tout court, dovendosi considerare eventuali previsioni statutarie che, direttamente o indirettamente, la neutralizzino. In particolare, la cedibilità del diritto di opzione può essere preclusa direttamente tramite la previsione statutaria contemplata nel primo comma dell’art. 2481-bis c.c., attraverso la quale si perviene a riservare l’aumento di capitale mediante nuovi conferimenti a terzi. La cedibilità è, invece, preclusa indirettamente in caso di previsioni statutarie che escludano la libera circolazione delle partecipazioni societarie. Sarebbe, infatti, incongruo ammettere la trasferibilità del diritto di opzione delle quote di aumento del capitale sociale quando una clausola statutaria impedisca la cessione della partecipazione societaria. In presenza di un tale divieto, infatti, la disciplina statutaria risulta chiaramente improntata all’esclusione dell’ingresso di nuovi soci e, incoerentemente, la libera trasferibilità del diritto di opzione condurrebbe a un risultato che il contratto sociale ha inteso vietare. E, quindi, la presenza di una clausola statutaria che impedisca la circolazione delle partecipazioni sociali conferisce alla società quella forte caratterizzazione personalistica – estranea alla disciplina legislativa, ma rinvenibile nella volontà delle parti – che è funzionale al mantenimento dell’originaria compagine sociale, e che non si concilia con l’ingresso di nuovi soci. Viceversa, qualora la partecipazione societaria dovesse essere liberamente trasferibile, il divieto di cessione del diritto di opzione perde qualsiasi fondamento giustificativo. In tale ipotesi, anzi, affermare l’esistenza del divieto condurrebbe a conseguenze illogiche. Si finirebbe, infatti, per precludere al socio la possibilità di trasferire il proprio diritto di opzione al terzo che intenda acquisire la partecipazione sociale, ben potendo, subito dopo aver esercitato il diritto di opzione, trasferire la relativa quota allo stesso terzo. In pratica, i soggetti interessati potrebbero raggiungere il medesimo risultato pratico cui mira la cessione dell’opzione semplicemente spostando in avanti nel tempo il negozio traslativo e mutandone l’oggetto.
10 aprile 2021
/ Maurizio MEOLI