Diffida accertativa anche per le clausole del contratto individuale
La Cassazione ha esaminato la fonte dei crediti patrimoniali oggetto di tale diffida
La diffida accertativa per crediti patrimoniali può essere adottata anche in ragione di quanto previsto dal contratto individuale di lavoro.
Lo ha chiarito la Cassazione che, con l’ordinanza n. 20830 del 23 luglio 2025, ha fornito una serie di spunti interessanti su uno degli strumenti più utili ed efficaci a disposizione del personale dell’Ispettorato del Lavoro per la tutela sostanziale dei lavoratori.
La diffida accertativa, disciplinata dall’art. 12 del DLgs. 124/2004, viene, infatti, adottata dal personale ispettivo ogniqualvolta si accerti l’esistenza, a favore del lavoratore, di un credito patrimoniale certo, ossia provato nella sua esistenza, liquido, cioè determinato nel suo ammontare, ed esigibile, quindi non sottoposto a termini o condizioni che ne impediscano la riscossione.
Il presupposto della diffida è un accertamento tecnico, svolto dal personale ispettivo e finalizzato alla verifica dei citati requisiti del credito.
In merito, la Suprema Corte si è soffermata sulla natura di tale verifica, precisando che il personale ispettivo, non diversamente da una consulenza tecnica d’ufficio, in quanto istituzionalmente qualificato nel campo del lavoro, ben può in primo luogo accertare fatti, nella specie “inosservanze alla disciplina contrattuale” e, ove tanto emerga nell’esercizio della propria attività di vigilanza e risulti produttivo di “crediti patrimoniali in favore dei prestatori”, lo stesso personale è tenuto a diffidare “il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti”; non è questionabile che la quantificazione dei crediti in questione rifletta anche il vaglio di aspetti “tecnici” (analogamente in parte qua a una consulenza c.d. deducente) che, tuttavia, presuppone l’imprescindibile accertamento fattuale, necessario per calcolare detti importi.
Di rilievo è anche quanto affermato dalla Corte sulla tipologia del credito, che può formare oggetto di diffida accertativa. In passato, il Ministero del Lavoro prima, con la circolare n. 1/2013 e l’INL poi, con la circolare n. 7/2020, hanno individuato le casistiche in presenza delle quali può essere adottata la diffida, comprendendo i crediti retributivi da omesso pagamento, i crediti legati al demansionamento ovvero alla mancata applicazione di livelli minimi retributivi, come nel caso del settore cooperativistico, ai sensi dell’art. 7 comma 4 del DL 248/2007, i crediti connessi all’accertamento di lavoro sommerso, i crediti di tipo indennitario e da maggiorazioni, per il trattamento di fine rapporto e anche i crediti retributivi, derivanti da un non corretto inquadramento, come nelle ipotesi di collaborazioni etero-organizzate (circ. INL n. 7/2020).
La Cassazione conferma tale impostazione, precisando che i crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro non sono normativamente individuati e specificati. Pertanto, l’unico reale requisito è che derivino da “inosservanze alla disciplina contrattuale”, ricordando come tale ampia nomenclatura risulti in linea con la locuzione “crediti di lavoro”, utilizzata dal legislatore delegante (art. 8 comma 2 lett. e) della L. 30/2003). Da ciò, l’ulteriore sottolineatura contenuta nella sentenza secondo la quale, nell’ambito della disciplina contrattuale, rientrano non solo le disposizioni contenute nei contratti collettivi di qualsiasi livello, ma anche eventuali singole pattuizioni previste dal contratto individuale sottoscritto dalle parti.
Tanto premesso, l’ispettore del lavoro, accertata l’esistenza del credito e il suo ammontare, invita il datore di lavoro e l’eventuale utilizzatore, in qualità di obbligato solidale, a effettuare il pagamento di quanto dovuto al lavoratore entro 30 giorni. Nello stesso termine tali soggetti potranno anche decidere di promuovere un tentativo di conciliazione ovvero presentare ricorso direttamente al direttore dell’Ispettorato che ha adottato la diffida accertativa. In caso di accordo risultante da verbale, la diffida perde efficacia, ma sarà il verbale a fare fede tra le parti sotto il profilo economico. Se, invece, si sceglie la strada del ricorso, ci saranno 60 giorni di tempo per la decisione.
Entrambe le soluzioni sospendono l’efficacia esecutiva della diffida accertativa. Trascorsi 30 giorni dalla notifica senza che sia avvenuto il pagamento, la richiesta di conciliazione o la presentazione di ricorso oppure laddove è stato attivato il tentativo di conciliazione e lo stesso ha avuto esito negativo o, ancora, se è stato rigettato il ricorso, la diffida accertativa acquista efficacia di titolo esecutivo, al pari di una sentenza o di un decreto ingiuntivo.
Tuttavia, ricorda la Cassazione, non si determina un passaggio in giudicato dell’accertamento contenuto nella diffida e l’esecutività non esclude che l’interessato possa contestare in giudizio l’esistenza del diritto in essa riportato.
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