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LETTERE

Torniamo al rispetto reciproco tra Fisco e professionisti

Venerdì, 20 luglio 2012

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Egregio Direttore,
mi unisco al coro di tutti quei colleghi che chiedono la cosa più importante e più assente nel rapporto professionisti-Fisco: il rispetto.

A noi è richiesto il rispetto delle leggi, il rispetto delle scadenze, il rispetto dei loro orari di chiusura, il rispetto delle nuove procedure. In cambio, però, non abbiamo neppure una milionesima parte del rispetto che diamo.

Sono anni che svolgo questa professione e ricordo, uno dopo l’altro, tutti i provvedimenti che hanno devastato la fiscalità in Italia. Le dichiarazioni a metraggio, quando in un solo anno inserirono ISI, ICI e Riccometro. Poi sono arrivati la minimum tax, il ricavometro e gli studi di settore; poi furono soppressi gli elenchi clienti e fornitori, in seguito resuscitati; oggi l’art. 21, l’INTRA per le operazioni estere (Italietta, sei in Europa), il DURC se si lavora con enti pubblici. Per non parlare delle ditte con dipendenti.

Un contribuente titolare di partita IVA deve comunicare gli stessi dati con almeno 4 o 5 adempimenti diversi, e il povero salumiere, schiacciato dalla grande distribuzione, si sente chiedere se possiede cavalli da corsa. Dov’è il rispetto, in questo sistema? Trovato un onesto cittadino che apre partita IVA, l’attuale legislazione ne fa una vittima predestinata. E a noi professionisti viene chiesto di far da delatori se sospettiamo che un nostro cliente gestisca troppo contante. Incommentabile.

Ricordo con nostalgia e commozione le dichiarazioni dei redditi “normali” dei lavoratori autonomi, quelle di 6-8 pagine che si presentavano il 31 maggio. Oggi una dichiarazione è di almeno 35-40 pagine e si presenta a seconda della luna di qualche funzionario o sottosegretario.

Tornare a lavorare con rispetto reciproco sarebbe facile, oltre che auspicabile. Ma c’è la volontà?
Occorre ripristinare dichiarazioni dei redditi nelle quali si dichiarino i redditi conseguiti con scadenza al 31 maggio e aprire alla possibilità di rateizzare il dovuto con scadenze dettate dalla logica: non 9 e 16 luglio, come è avvenuto quest’anno e come è avvenuto, più o meno, tutti gli anni scorsi. E se lo vogliamo chiamare modello UNICO, che sia veramente “unico”, e non un agglomerato di 3 dichiarazioni (redditi, IRAP e IVA) dove gli stessi dati (anche quelli anagrafici) si ripetono più volte.

Io dunque proporrei, ad esempio:
- studi di settore al 31 ottobre, con la possibilità, in caso di non congruità, di adeguamento in quella data;
- modello 770, alla presentazione del quale lo Stato non raccoglie denari, al 30 settembre, dopo le meritate ferie;
- abolizione di ogni comunicazione, dichiarazione e adempimento inutile, art. 21 in primis;
- abolizione dell’INTRA, perché gli stessi dati possono andare nella dichiarazione IVA.

La parola “semplificazione”, vuota e abusata, deve ritrovare finalmente il proprio valore.


Gilda Eugeni
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Ancona

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