De Nuccio: «Il Consiglio nazionale cambi strategia con la politica»
Il Presidente dell’Ordine di Bari chiede ai rappresentanti nazionali di reagire al momento di difficoltà: «Dobbiamo essere nei tavoli che contano»
“Il momento di difficoltà che sta vivendo la categoria è sotto gli occhi di tutti e questo deve farci comprendere che un reale processo di reazione non può più aspettare”. Elbano De Nuccio, Presidente dell’Ordine di Bari, si aggiunge agli altri rappresentanti locali che nelle ultime settimane, su Eutekne.info, hanno invocato un “cambio di passo” da parte del Consiglio nazionale dei commercialisti.
“Questo non significa scendere in piazza con i forconi – spiega –, ma bisogna cambiare metodo, cambiare il modo con cui si interagisce con politica e istituzioni. In caso contrario, continueremo a ottenere risposte che non producono nulla, di fronte alla crescente esasperazione dei colleghi, derivante da queste finte proroghe, continue scadenze che si accavallano e adempimenti incomprensibili con istruzioni ancora più incomprensibili”.
Adempimenti crescenti e ingorghi di scadenze non sono, però, una novità degli ultimi mesi.
“Ma tutto è amplificato dal saccheggio costante delle nostre competenze, pensiamo alla continua costituzione di albi ed elenchi esterni. Se sommiamo la sempre maggiore difficoltà nell’incassare i crediti e nell’esercitare la nostra professione ecco che si arriva all’esasperazione. Stiamo diventando una professione sbiadita, senza riconoscibilità, e di fronte a questo stato di cose non si registra una reale azione di contrasto”.
Quale dovrebbe essere?
“Come detto, bisogna cambiare metodo. Un vecchio detto recita «se non puoi batterli unisciti a loro». Ecco, nel momento in cui ci si rende conto che il muro contro muro con le istituzioni non porta a nulla di tangibile, l’unica cosa che si può fare è affiancarti a loro, per governare il cambiamento. Serve entrare nei tavoli dove si scrivono le norme”.
Lei pensa che il Consiglio nazionale non ci abbia provato?
“Forse sì, ma se non sono arrivati risultati, probabilmente non c’era l’uomo giusto al posto giusto. In questo momento storico, non si può ragionare con legami o accordi di carattere politico. Bisogna ragionare cercando di inserire figure professionali di eccellenza nel dialogo con le istituzioni. Sono fermamente convinto che, nel momento in cui sei portatore di competenza e piena consapevolezza del problema, proponendo soluzioni convincenti, è difficile farsi chiudere la porta in faccia”.
Questo significa che, a oggi, a livello nazionale non c’è una rappresentanza abbastanza capace?
“Non voglio dire questo. Il Consiglio nazionale ha fatto degli sforzi e, in alcuni casi, si sono visti risultati, ma spesso sembra mancare quel passaggio di concretezza rispetto allo sforzo profuso. Le figure che servono non devono essere necessariamente sedute attorno al tavolo del Consiglio nazionale, che è un organo politico. Bisogna essere capaci di attingere dal bacino di 118 mila commercialisti e individuare i migliori per implementare il proprio organico”.
Quindi, le forme di protesta, come ad esempio lo sciopero, non servono?
“Lo sciopero fine a sé stesso, inteso come mera forma di protesta senza una strategia di fondo, non serve a nulla. Diventa funzionale se serve per far capire la forza della categoria, ma il giorno dopo deve esserci una strategia. Noi dobbiamo far capire che siamo essenziali nella corretta applicazione delle norme e, alla collettività, far passare il messaggio che siamo diversi da altri professionisti più o meno qualificati”.
Come si fa a far passare questo messaggio, quando bisogna confrontarsi con chi promette di far pagare meno tasse o lancia un’app che assicura di poter sostituire il commercialista?
“È fondamentale investire nella comunicazione. Noi siamo attaccabili da chi si vende come alternativa perché il nostro lavoro viene percepito come sostituibile e allora vince chi lo vende al prezzo più basso. Ma noi non siamo una bic, siamo una penna diversa. Va trasferita l’attenzione sulla differenza che siamo in grado di fare, serve però una campagna di comunicazione come si deve, che non sia solo mettere insieme qualche slogan”.
Ma sui consulenti-curatori e il “balletto” relativo alle cessioni di aziende era giusto protestare o no?
“Certo che sì, ma il giorno dopo ci saremmo dovuti mettere al lavoro per capire perché altre professioni riescono a ottenere risultati e noi no, perché continuiamo a prendere schiaffi in faccia senza avere la capacità di invertire questa tendenza”.
Magari qualcosa si inizierà a vedere agli Stati generali del 9 maggio.
“Voglio essere ottimista e spero davvero di vedere il cambio di passo. Ma deve esserci anche una forza nel rivendicare determinate cose, la voglia di ottenerle, invece mi pare di vedere una sorta di rassegnazione”.
Sembra esserci anche una spaccatura interna, una maggiore distanza tra rappresentanze locali e Consiglio nazionale.
“Che ci sia un momento di difficoltà è fuor di dubbio, ma il Consiglio nazionale deve ultimare il proprio mandato ed essere messo nelle condizioni di poter lavorare al meglio. Oggi più che mai c’è bisogno di fare quadrato, purché ci sia una metodologia condivisa. Il Consiglio nazionale deve essere capace di unire, mettendo da parte aspetti più di carattere elettorale e politico”.
Sul Manifesto che verrà presentato il 9, il tentativo di ottenere la condivisione di tutti gli Ordini è stato fatto.
“La condivisione deve essere effettiva. Nell’assemblea del 20 marzo ci è stato detto che avremmo avuto la possibilità di integrare quel documento, ma poi ci sono stati dati cinque giorni con le festività in mezzo. Questo non significa farlo insieme. La condivisione deve avvenire nei modi e nei tempi corretti. Diversamente, il Consiglio nazionale ha tutta l’autorità politica e istituzionale per firmalo da solo, prendendo onori e oneri, e le conseguenze di quello che verrà”.
Quando parla di sedersi ai tavoli che contano, si riferisce anche a quelli internazionali?
“Assolutamente sì, presidiare quei tavoli ha una valenza strategica assoluta. Non solo perché le regole che noi applichiamo nel quotidiano hanno una genesi sovra-nazionale, ma anche perché in quei tavoli ci sono portatori di interessi che spingono per ampliare la loro fetta di mercato. Penso alle grandi società di revisione. Partecipare ci consente di essere attori nella redazione delle regole, lavorando perché siano aderenti alla nostra realtà di piccoli e medi studi professionali e non tarate sulle grandi società di revisione”.
A proposito della nostra realtà, il Consiglio nazionale è convinto che il futuro siano specializzazioni e aggregazioni. Condivide questo approccio?
“Sì, ma non la declinazione applicativa. La specializzazione, così come l’aggregazione, è importante, ma questo progetto va portato avanti in due modi: innanzitutto serve un riconoscimento normativo, altrimenti specializzarsi non servirà a nulla. In più, non deve essere per pochi. Bisogna farsi carico di prevedere un sostegno per tutti, facendo sì che i corsi siano a costo zero o comunque molto basso. In caso contrario, finirà per diventare uno strumento elitario, causa di ulteriore disagio all’interno della categoria”.