Accertamento rinotificabile per vizio di notifica senza previo annullamento
La rinotifica può avvenire nonostante si sia formato il giudicato sul vizio di notifica stesso
In base a quanto stabilito dall’ordinanza della Cassazione n. 14719/2025, l’Agenzia delle Entrate può, nei termini di decadenza, sia rinotificare il medesimo atto per sanare un vizio di notifica, sia modificare il precedente atto espungendo vizi di natura sostanziale o di legittimità diversi dal vizio di notifica.
Per il combinato disposto degli artt. 7 comma 1-bis e 9-bis della legge 212/2000 (entrambi introdotti dal DLgs. 219/2023), è sempre possibile emendare mediante un nuovo atto i vizi formali e procedurali, senza che ciò contrasti con il principio di unicità dell’accertamento. Trattasi di combinato disposto normativo, però, davvero difficile da interpretare:
- “I fatti e i mezzi di prova a fondamento dell’atto non possono essere successivamente modificati, integrati o sostituiti se non attraverso l’adozione di un ulteriore atto, ove ne ricorrano i presupposti e non siano maturate decadenze” (art. 7 comma 1-bis della L. 212/2000);
- “Salvo che specifiche disposizioni prevedano diversamente e ferma l’emendabilità di vizi formali e procedurali, il contribuente ha diritto a che l’amministrazione finanziaria eserciti l’azione accertativa relativamente a ciascun tributo una sola volta per ogni periodo d’imposta” (art. 9-bis della L. 212/2000).
Vero è che l’art. 7 sancisce che occorre l’adozione di un ulteriore atto, ma qualcuno, facendo propria una interpretazione contraria allo spirito alla base della riforma del DLgs. 219/2023, potrebbe affermare che ciò occorra solo per modificare o integrare “i fatti e i mezzi di prova”, non quindi per il vizio di notifica avallando così il principio esposto dalla Cassazione.
Premesso ciò, limiti ampi alla c.d. autotutela sostitutiva hanno trovato il riconoscimento delle Sezioni Unite del 2024, le quali hanno evidenziato che l’Amministrazione finanziaria può annullare un atto in autotutela e riemetterne uno addirittura in senso peggiorativo del primo, anche a processo pendente (Cass. SS.UU. 21 novembre 2024 n. 30051).
Nei fatti descritti dall’ordinanza n. 14719/2025, invece, l’atto non è stato tecnicamente sostituito ma, come evidenziano i giudici, “solo la sua notifica” è stata rinnovata. Non trattandosi di autotutela sostitutiva, non vi è obbligo di annullare formalmente il primo atto.
La pronuncia in commento ha puntualizzato che se, nel frattempo, si è formato il giudicato sul ricorso contro il primo atto proprio per vizio di notifica, questo è ininfluente non riguardando il merito, essendo riferito ad un vizio ormai sanato.
Bisogna però interrogarsi sugli effetti che, in concreto, determina la rinotifica di un atto per sanare un vizio di notifica, rinotifica non preceduta dall’annullamento del primo atto.
Se il processo è pendente difficilmente può accettarsi che la Corte dichiari cessata la materia del contendere se l’atto affetto dal vizio di notifica non viene annullato. Anzi, l’Erario rischia di perdere due volte: il primo atto non solo rimarrebbe in piedi ma sarebbe ancora affetto dal vizio di notifica, mentre il secondo sarebbe annullabile per duplicazione di imposta.
Si può anche accettare il ragionamento della sentenza n. 14719/2025, secondo cui il vizio di notifica è “esterno” all’atto, essendo la notifica una condizione di efficacia dello stesso (vedasi l’art. 7-sexies comma 2 della L. 212/2000 sempre introdotto dal DLgs. 219/2023, secondo cui “L’inesistenza della notificazione di un atto recettizio ne comporta l’inefficacia”).
Ma se ciò tecnicamente può essere corretto mal si concilia con la struttura del processo tributario che è un processo di impugnazione: se c’è un annullamento in autotutela, vuoi della notifica, vuoi dell’atto, comunque deve cessare la materia del contendere e il contribuente deve impugnare, se non il “nuovo” atto, lo stesso atto che ab origine era inficiato dal vizio di notifica.
Almeno si dovrebbe sostenere la necessità che sia comunicata o indicata nel secondo atto notificato l’annullamento della prima notifica, ma allora tanto vale sostenere che serva l’annullamento dell’atto (a nostro avviso, diventerebbe una questione di “lana caprina”). Oppure si dovrebbe accettare che la rinotifica dell’atto sia sintomatica di automatico annullamento della prima, ma accettare questo sarebbe un tantino rischioso, specie se c’è il processo pendente.
Nel sistema attuale non esiste una norma analoga al “vecchio” art. 21 del DPR 636/72, che consentiva al giudice di ordinare la rinnovazione dell’atto impugnato per vizi formali. Una norma di questo tenore, giusta o sbagliata che sia, almeno disciplinerebbe il problema.
Il principio della Cassazione potrebbe trovare giustificazione in due ipotesi:
- quando il primo atto è stato ormai annullato dalla Corte, anche senza che ci sia il giudicato (caso oggetto proprio dell’ordinanza n. 14719/2025). Si può affermare che l’annullamento c’è già stato, sia pure ad opera del giudice, allora sarebbe a questo punto inutile la “rinnovazione” dell’annullamento;
- quando non c’è ancora stato il ricorso, in cui i termini per il ricorso dovrebbero decorrere dalla seconda notifica (non si tratta di notifica tentata due volte, ad esempio presso la sede sociale e presso il legale rappresentante, ma di notifica “annullata” e rinnovata).
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